L’eccidio, la guerra e i bambini

Alcuni anni fa, approfittando della festa del Liberazione, andai in visita con la famiglia a Marzabotto. La mattina la passammo nell’area archeologica della città etrusca, il pomeriggio salimmo su, verso il Parco storico di Monte Sole.
Ciò che accadde in quei luoghi fra il 29 settembre e il 5 ottobre del 1944 è tragicamente noto e quindi mi limiterò a un brevissimo riassunto: in quei giorni il 16mo battaglione corazzato della 16. SS-Panzergrenadier-Division Reichsführer SS (già terribilmente famosa perché responsabile, pochi giorni prima, dell’eccidio di Sant’Anna di Stazzema) con una tattica di guerra accerchiò le numerose frazioni sopra le colline; lo scopo dichiarato era di eliminare gruppi partigiani che operavano nella zona. Le azioni compiute dalle SS furono in realtà lasciare terra bruciata, rastrellando e sterminando qualsiasi essere vivente che trovarono. Al termine di quella settimana di sangue le vittime innocenti accertate furono 775, cifra che diviene più che doppia se si tiene conto del numero complessivo delle vittime di guerra inflitte ai comuni della zona.

Arriviamo lassù a piedi e, onestamente, non so cosa aspettarmi. Naturalmente conosco alla perfezione i fatti, i dati… tutto quanto. Mi manca soltanto d’esser stato lì e sto per colmare la lacuna. Ripensandoci a posteriori, forse mi sentivo come quando da giovane studente mi recavo in archivio per consultare le pergamene a sostegno della mia tesi di laurea, oppure quando organizzavo escursioni nei boschi dei Monti Pisani alla riscoperta dei ruderi di castelli abbandonati.
È dunque il 25 aprile, c’è moltissima gente e numerosi stand con mostre fotografiche e documentarie. Visto tutto quanto ci mettiamo per le strade e sentieri che collegano le piccole frazioni che furono il vero teatro dell’eccidio. In realtà ciò che provo dentro è che non mi sono mai sentito tanto inadeguato.
Quello che più mi colpisce, e intendo fisicamente, come un pugno, è il silenzio, l’assoluto silenzio: i visitatori si muovono taciturni e composti, come in chiesa, il vento spira sommessamente e gli uccelli paiono cinguettare poco più che bisbigliando. Il silenzio è assoluto e comprendo subito che è il silenzio della morte.

Perché è così: da quei luoghi è stata strappata la vita e non vi è più tornata. Il vuoto che si è allargato, da allora non è stato riempito da altro che silenzio.

Mi appare allora chiarissima, istantaneamente e prepotentemente, la differenza tra conoscenza e coscienza storica, lo capisco brutalmente ed è un’esperienza che non si dimentica.

Si entra in ciò che rimane della corte di una casa colonica diroccata, sebbene restaurata, ci si avvicina a una finestra e si intravedono dentro i resti di una stanza che fu una cucina dove una famiglia visse, si riunì al caldo del caminetto. Poi, voltandoci e leggendo il pannello illustrativo, si scopre che lì furono stipate più famiglie rastrellate nel circondario e da quella stessa finestra della cucina i soldati lanciarono dentro granate esplosive e poi dettero fuoco a tutto.

Si entra in un piccolo cimitero e si vedono tutte le lapidi spezzate alla base, gratuita violenza di chi volle non solo sradicare la vita ma perfino cancellare il ricordo di chi era già defunto; su di una pietra si vedono ancora i fori allineati di una raffica di mitragliatrice, forse prima di colpire il muro i proiettili hanno perforato la carne di qualcuno o di molti. Poi, leggendo l’epigrafe commemorativa lì fuori si scopre che in quell’angolo furono accatastate decine di cadaveri di donne vecchi e bambini, forse anche lì con mine antiuomo nascoste fra i corpi, mine con l’innesco a pressione perché esplodessero quando si fossero rimosse le salme.

Con lo stesso silenzio si va avanti per un intero pomeriggio, con poche parole quasi sfuggite. Poi mio figlio piccolo mi chiede: “Babbo, ma un tedesco che viene in visita qui, che pensa? non si vergogna?”
Gli spiego che la Germania in più occasioni ha chiesto perdono per i crimini di cui si sono macchiati i suoi soldati durante la guerra e che ministri tedeschi anche recentemente sono venuti proprio lì, a commemorare le vittime.
Mi rendo conto però che quello è il passato e lui è un bambino che deve crescere e il discorso non può finire lì. Gli ricordo allora le parole, parafrasandole, che Primo Levi scrisse nella prefazione all’edizione italiana dell’autobiografia di Rudolf Höss, Comandante ad Auschwitz: ciò che fu perpetrato in quei luoghi non fu l’esito logico e inevitabile di un meccanismo consequenziale, non fu predestinazione e neppure un dettato genetico; fu piuttosto una scelta o una serie di scelte consapevoli volte nella direzione del male, iniziando con piccoli e poi sempre meno piccoli compromessi con la propria coscienza, imboccando senza rifletterci troppo quella che pareva la via più facile e comoda.

Vorrei concludere questa lunga pagina con un documento storico, un estratto dal procedimento penale contro ignoti per crimini di guerra per il reato di violenza con omicidio perpetrato contro civili italiani a Massaciuccoli, il 2 settembre 1944; uno dei fascicoli ritrovati nell’Armadio della vergogna.

Dalla testimonianza di Josef Lambert Diederiche, 3a Compagnia, 16° battaglione di ricognizione SS, prigioniero di guerra, interrogato dal Magg. Milton R. Wexler, 5a Armata USA, Commissione Crimini di guerra, il 18 ottobre 1944.

[…]
D. Avete sentito il fuoco della mitragliatrice?
R. L’ho sentito con le mie orecchie.
D. Avete poi visto qualcuno dei cadaveri?
R. No.
D. Avete sentito dire che erano stati uccisi?
R. Il soldato Drexler del 1° plotone, 2a compagnia del 16° Btg SS, ci disse più tardi di essere stato lui.
D. Il soldato Drexler disse che gli era stato ordinato di uccidere donne e bambini?
R. Il soldato Drexler fu prima interrogato dal Ten. Siyska se se la sentiva di uccidere a sangue freddo donne e bambini. Egli rispose “No”. Il Tenente gli rispose “Se non lo potete fare, non siete un soldato”. Drexler, come per provare di essere un soldato, accettò la sfida.
[…]
D. Potete dirmi quante persone erano state raccolte nel bosco?
R. Sì, circa 30.
D. E il soldato Drexler, dichiarò di essere stato lui a ucciderle?
R. Drexler disse di averlo fatto e aggiunse che dopo aver sparato a 3 o 5 donne si rivolse al Comandante e disse “Non posso più continuare”. A queste parole, il comandante rispose “Se non puoi uccidere donne e bambini non sei un vero soldato”. Drexler continuò a uccidere.
D. Delle 30 persone riunite nel bosco, sapete dirmi quante erano le donne?
R. Circa 19 donne e 11 bambini.
D. Come si chiamava il Comandante del vostro Battaglione?
R. Magg. Reader [sic] a cui è stato amputato il braccio sinistro.
D. Fu il Magg. Reader a ordinare a Siyska di uccidere quelle 30 persone?
R. Sì, l’ordine venne dal Comando del Battaglione.
[…]

Non so se il soldato Drexler è sopravvissuto alla guerra; né come abbia continuato la propria vita tornando in patria.

È un boccone amarissimo da mandare giù, un’ipotesi che destabilizza, distrugge, logora. Sia chiaro: non ammetto giustificazioni per i crimini di guerra e ancor meno per i criminali che li hanno perpetrati. Ma il solo pensiero del carnefice della porta accanto mi spaventa a morte.



2 risposte a “L’eccidio, la guerra e i bambini”

  1. Grazie per queste pagine. Anche io mi sono chiesto tante volte come potevano quei soldati arrivare a tanto. Ricordo di aver letto l’allucinante dichiarazione di un ex comandante SS ai suoi uomini: tutti sono capaci di uccidere un nemico in battaglia, ma per riuscire ad uccidere un vecchio, una donna o un bambino a sangue freddo ci vuole una motivazione superiore che solo una élite può raggiungere.. si direbbe che è incredibile, ma è successo davvero, in uno dei popoli più COLTI e ricchi del primo novecento, dove è stato costruito passo dopo passo il pensiero delirante e omicida nazista. Benvenuti i ‘giorni della memoria’ perché non accada mai più.

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    1. Grazie a te per il contributo. Credo che hai centrato in pieno la questione quando scrivi “dove è stato costruito passo dopo passo il pensiero delirante e omicida nazista”. Il condizionamento culturale di un popolo e la manipolazione delle masse è un’arte ormai codificata ed efficacissima che può arrivare a far digerire qualsiasi veleno, rendendolo anzi all’apparenza salutare e benefico.

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