Cigola la carrucola del pozzo, di Eugenio Montale

Nel 1924, circa, Eugenio Montale scrisse la poesia Cigola la carrucola nel pozzo, parte della raccolta Ossi di seppia; è costituita da una strofa unica di dieci versi endecasillabi, per essere più precisi con il settimo e l’ottavo spezzati in un settenario e un quinario, in rima o assonanza. Intanto leggiamola.

Cigola la carrucola del pozzo,
l'acqua sale alla luce e vi si fonde.
Trema un ricordo nel ricolmo secchio,
nel puro cerchio un'immagine ride.
Accosto il volto ad evanescenti labbri:
si deforma il passato, si fa vecchio,
appartiene ad un altro…
Ah che già stride
la ruota, ti ridona all'atro fondo,
visione, una distanza ci divide.

In questo componimento il poeta si avvicina a grandi passi a uno dei suoi temi più ricorrenti, e dolorosi: i ricordi. Qui, come successivamente nella poesia La casa dei doganieri, si tira il bilancio del tempo tra il presente vissuto e la memoria del passato, le sue illusioni e le sue speranze, nonché i tentativi di ricongiungersi con distanze che si rivelano incolmabili e lasciano il poeta allibito e sconfitto. Ne La casa dei doganieri, da Le occasioni, il correlativo oggettivo (ovvero l’aggancio materiale che funge da chiave addentrarsi in un mondo simbolico) che rappresenta il tempo e i ricordi è un filo che si dipana, del quale il poeta ne tiene un capo ma sente fuggire via inesorabilmente l’altro. Qua è un pozzo, o meglio il secchio con l’acqua al suo interno.

Montale ci aveva visto giusto perché il pozzo, fin dalle più remote antichità, ha sempre rappresentato un collegamento fra mondi distanti: la terra dei vivi e le profondità viscerali degli inferi ma anche fra i vivi è le profondità siderali degli dei. Basti pensare, un esempio per tutti, al fantastico complesso nuragico di Santa Cristina, in Sardegna, che ha il suo punto di forza proprio in un pozzo sacro. Esso, con un’architettura e una concezione che sono semplicemente indescrivibili, si addentra nel cuore della terra alla ricerca di una sorgente perenne e dal fondo, guardando in su, poteva essere utilizzato anche come calendario astrale, essendo accortamente orientato per l’osservazione dei cicli lunari; esatto: volere la luna nel pozzo non è così iperbolico come sembra. Popolazioni attente allo studio degli astri, anche in altri continenti, costruirono forme simili, torri o pozzi, allo scopo di creare dei canali bui che concentravano e focalizzavano la visuale, funzionando come cannocchiali, ovviamente senza ingrandimento.

Ma cosa c’è nell’oculare di Montale?

Lui ci racconta di se stesso affacciato al bordo, guardando giù il secchio con l’acqua che sale, accompagnato dal cigolio della carrucola. Via via che il secchio sale, prende corpo una emozionante immagine: dalla luce che a poco a poco si intensifica e si riflette nel cerchio d’acqua sempre più vicino appare un ricordo tremolante, nella forma di un volto sorridente. Il pozzo e il secchio sono quindi un efficace ascensore per far risalire a galla lontani ricordi. Ma quando secchio e poeta sono tanto vicini da toccarsi, esplode una consapevolezza nuova: il passato si deforma invecchiando, al punto da diventare irriconoscibile e per questo disconosciuto e rinnegato, come se appartenesse “ad un altro”.

Come in La casa dei doganieri ogni aspettativa del poeta rimane frustrata, e quasi con orrore rigetta nel fondo il secchio, e quell’immagine ripiomba nelle oscure profondità; anche il cigolio della carrucola, che all’andata pareva accompagnare il sorriso, quasi dandogli voce e speranza, adesso risponde con un grido fastidiosissimo e stridente. Infine tutto si ricompone, ogni cosa torna al suo posto, ogni cosa separata da una distanza ormai incolmabile.

Entrando un pochino più nel dettaglio, è sempre un’esperienza interessante osservare se il poeta ha stabilito una relazione semantica fra le parole in rima, e in genere, quando di capolavori si tratta, lo fa. Vediamo:

  • fonde fondo (consonanza): il fondo del pozzo è il luogo in cui si fondono i ricordi, il luogo in cui tutto è confuso. Dal momento in cui il secchio inizia a separarsi da laggiù, accorciando le distanze col poeta affacciato al bordo, tutto si fa più nitido.
  • ride – stridedivide: come già scritto sopra, sono le due reazioni antitetiche e collegate al rumore della carrucola, in altre parole: divise. Del resto la carrucola è ciò che lega, ma infine anche divide, passato e presente.
  • secchio – vecchio: la rima sottolinea con un lessico diverso l’indissolubile legame fra il secchio e l’immagine del vecchio che a poco a poco si forma nell’acqua in esso contenuta.
  • altro – atro: infine c’è questa rima imperfetta al mezzo, se così vogliamo definirla, ovvero la tra fine del settenario e il penultimo endecasillabo. Assai interessante questo ‘rimbalzo’ sonoro, come il tonfo del secchio che ha raggiunto il fondo, che evidenzia il pronome indefinito altro (a sottolineare il rifiuto di un sé perduto, come si diceva prima) e l’aggettivo atro, ovvero buio, tenebroso, com’è tornato a essere il volto e il passato distante che esso rappresenta.

Per approfondimenti:
Complesso nuragico di Santa Cristina in Sardegna
https://www.pozzosantacristina.com/
https://it.wikipedia.org/wiki/Santuario_nuragico_di_Santa_Cristina

El Caracol di Chichén Itzá
https://www.altrogiornale.org/el-caracol-lastronomia-del-popolo-maya-e-il-calendario-di-venere/



2 risposte a “Cigola la carrucola del pozzo, di Eugenio Montale”

  1. Molto molto molto interessante!
    Non conoscevo il Pozzo di Santa Cristina e il video è girato talmente bene che mi è sembrato di poter sfiorare le margherite, che adoro, ma sto divagando …
    L’analisi apre un mondo sulla visione e sulla concezione stessa dei ricordi, e questo passato che si deforma mi induce a sforzarmi di vedere le cose come sono e non come le voglio concepire io, nel mio cerchio di memoria …
    GRAZIE. Davvero grazie.

    Piace a 1 persona

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