Perché una montagna dovrebbe essere giudicata ‘vecchia’? Be’, certo: la geologia ha le sue regole e una cronologia nei limiti del possibile ben definita: sappiamo per esempio che gli Appennini sono come anziani custodi, sono la spina dorsale di uno Stivale sul quale, al contrario, le Apuane paiono giovani e bizzarre fronde. Eppure, sebbene la definizione abbia una logica intrinseca, mentre lo vedo avvicinarsi pian piano, mi domando chi l’abbia battezzato a quel modo: Monte Vecchio. Perché lui dovrebbe essersi meritato un tale aggettivo mentre la cima che tiene quasi a braccetto Prado e l’altra, all’altezza delle sue ginocchia, Cima Bocca di scala. Lui no: lui è il Monte Vecchio. Cosa ha di tanto diverso?
Io adesso ho 50 anni: è un’età che mi piace. Ho già oltrepassato la metà del cammino? Chi può dirlo… certamente non scriverò un’altra Commedia, né dipingerò un altro Giudizio universale, ma pochi anni fa ho dato una brusca sterzata alla mia vita e ne ho fissato una pietra miliare che per me è stata epocale; e l’esito non era scontato. È andata bene perché è ciò che sento dentro. Allora mi domando se sono vecchio anch’io e provo a darne un significato tangibile. Osservo tutto attorno fiori di erica e all’interno di quelle oasi rosate cerco aggettivi: pacatezza, ponderazione, saggezza, lungimiranza, equilibrio e misura, conoscenza, responsabilità. Ce ne sono certamente altri ma devo tenere alta la concentrazione perché, sebbene il sentiero non sia così stretto, sotto di me ci sono un paio di centinaia di metri di caduta e il dislivello continua a salire passo dopo passo.
Allora: che significa, quand’è che si diventa vecchio?

Attendo questa risposta ma tarda a palesarsi. Ti guardo in cagnesco, sì, caro Monte Vecchio e tu ricambi l’occhiolino: allora, cosa abbiamo in comune?
Sono sicuro che salendo lo scoprirò o almeno ne coglierò un indizio.
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