Lavagna, gesso e piccone

In questi ultimi mesi, ahimè, ho avuto modo di confrontarmi con il dibattito politico tramite i social. Be’, non fatelo mai! Rimango sorpreso nel leggere commenti nei quali cadono qua e là parole come democrazia, libertà, repubblica e poi nei profili degli stessi trovare decaloghi e prescrizioni dettagliate su come individuare o meglio scovare i ‘nemici’ politici.
Quando si cercano nemici la politica ha già fallito.

Ma ciò che più mi ha rattristato è stato leggere spesso attacchi diretti alla Scuola, descritta come covo di sovversivi, lì soltanto col malizioso scopo di manipolare le menti e plagiare i giovani virgulti della società secondo un preciso schema politico. Bene: trovo semplicemente folle, ripugnante e volgare questa propaganda distruttiva, frutto soltanto di ignoranza e incompetenza. Certamente non saranno mancati in passato né mancheranno in futuro comportamenti sfacciatamente inadeguati di insegnanti, ma costoro non meritano la mia attenzione e per la colpa di pochi (che mi auguro risponderanno davanti un giudice delle loro azioni) non si può condannare l’intera istituzione scolastica.

Forse per molti la Scuola non è diversa da una qualsiasi altra attività produttiva-industriale nella quale entrano materie prime o prodotti semilavorati e ne esce un prodotto finito o comunque a un più avanzato stato di lavorazione. Se questa è l’ottica è certamente logico che i prodotti non conformi si scartino e se il problema è la macchina che se ne chieda la sostituzione (com’è avvenuto nelle vere e proprie liste di proscrizione di insegnanti stilate da una sindaca del nord Italia). Si ignora evidentemente che la scuola è certamente un rapporto professionale ma è anche un rapporto fra persone che si costruisce passo dopo passo, non si impone, non si pianifica o progetta a tavolino: si fonda sulla fiducia e non sull’ideologia, sull’ascolto e non sul vociare più forte degli altri. Il rispetto non si compra né si eredita: si guadagna nella misura in cui si dà.

Non possiamo mai sapere in anticipo le persone che troveremo entrando in aula e anche quando conosciamo i nostri alunni da anni non possiamo prevedere i problemi nati la sera prima o un improvviso bisogno di comunicare e condividere una gioia o un dolore. Ricordo quasi con tenerezza (nei miei confronti) il mio primo giorno di scuola da insegnante: vinto il concorso, mi trovai scaraventato in classe sostanzialmente dall’oggi al domani e quasi senza esperienza. Mi preoccupavo di cosa avrei detto e cosa avrei fatto, se avessi saputo spiegare bene e rispondere alle domande… La verità? in brevissimo tempo compresi che tutti questi sarebbero stati problemi da affrontare (eventualmente) in un secondo momento.

La vere domande da porsi erano (e sono): credo nei ragazzi che ho di fronte, amo il mio lavoro, so trasmettere la passione per ciò che insegno attraverso tutto me stesso? Se la risposta fosse stata affermativa allora forse avrei avuto le carte in regola per andare avanti.

Quando si fa breccia nel cuore degli altri tutto diviene ancora più difficile, perché la responsabilità professionale diviene anche responsabilità nei confronti di chi ha riposto in noi la propria fiducia. Serve grande equilibrio e anche senso del dovere, passione e sensibilità, rispetto e ascolto.

Ecco, se tutti coloro che con grande disinvoltura accusano e prendono a picconate scuola e insegnanti pensando di ricostruirne una migliore ascoltassero, ma ascoltassero veramente un po’ di più gli altri vivremmo probabilmente in un mondo molto migliore. Certamente meno violento.



2 risposte a “Lavagna, gesso e piccone”

  1. “Quando si fa breccia nel cuore degli altri tutto diviene ancora più difficile, perché la responsabilità professionale diviene anche responsabilità nei confronti di chi ha riposto in noi la propria fiducia.”
    Quel “difficile” che arriva così, quando ti aspetteresti il contrario, è una pennellata vincente.
    Condivido tutto.
    Aggiungo una nota triste: credo di aver incontrato nella mia vita un numero così basso di persone che ascoltano, ma ascoltano davvero, da poter entrare comodamente nelle dita di due mani. E non ho scritto di una mano, perché sono un’inguaribile ottimista

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    1. Credo sia un’esperienza che purtroppo molti hanno sperimentato. Ma forse è anche vero che di persone giuste al posto giusto ne bastano poche.

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