Nel precedente articolo abbiamo letto e commentato la poesia Il lampo; vediamo adesso Il tuono, naturale completamento di un eccezionale dittico, concluso diversi anni dopo, nel 1900 per l’esattezza, ovviamente sempre nella medesima raccolta Myricae.
Leggiamo la poesia:
E nella notte nera come il nulla,
a un tratto, col fragor d’arduo dirupo
che frana, il tuono rimbombò di schianto:
rimbombò, rimbalzò, rotolò cupo,
e tacque, e poi rimareggiò rinfranto,
e poi vanì. Soave allora un canto
s’udì di madre, e il moto di una culla.
La metrica è la medesima della compagna, sette versi endecasillabi rimati secondo lo schema A BCBCCA, e ne prosegue tanto l’impianto narrativo quanto i contenuti. Il lampo conclude con l’immagine della casa-occhio che “s’aprì si chiuse nella notte nera” e da lì si riparte: “e nella notte nera come il nulla…”. Lo scorrere del tempo, messo in pausa nel 1894, riprende vita sei anni dopo, quel silenzio dilatato si infrange e un fragoroso boato precipita giù sulla terra come una colossale frana.
Lo schianto iniziale, parola che evoca i suoni crepitanti della immane scarica elettrica prosegue nel boato vero e proprio, tanto potente da non poter essere nemmeno contenuto nella volta del cielo. La successiva sequenza di verbi che lo descrivono ha un magistrale potere onomatopeico e simbolico e di mostra incalzante all’inizio poi, come un diminuendo sulla partitura musicale, ovvero un climax discendente, fino a spegnersi, anzi no, fino a tornare in un ultimo, lontanissimo borbottare come lontane onde che si infrangono e svanire. Così, la vastità del cielo, come del mare, assorbono e scompongono l’energia del tuono.
La conclusione della poesia è inaspettata. Più volte ho ricordato come Il lampo rimanesse sospesa in una potentissima carica drammatica e irrisolta. Al contrario, qua, dopo il fragore iniziale con una vivida dissolvenza incrociata sullo svanire lontano del tuono emerge il canto di una madre e il “moto di una culla”. Ipotizzando che il luogo sia ancora la fatale casa bianca della poesia Il lampo, con il suo terribile portato, si apre inaspettata una dolcissima scena domestica e familiare, con un bambino piccolo evidentemente svegliato dal tuono, subito consolato dalla voce e dalla mano della mamma.
È il trionfo del “Nido”, dell’amore, della vita sulla morte, evento tutto sommato raro nella poetica pascoliana, uno slancio quasi cieco di fiducia in questo mondo, “atomo opaco del male”.
Giovanni Pascoli insegnò anche al liceo Niccolini di Livorno , Per noi un gran vanto e scrisse parte della raccolta Myricae, proprio nella mia città.
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