Il Superuomo o il Supercomputer? Alcuni spunti sul rapporto tra uomo, tecnologia e Natura nella Letteratura. Prima parte

Il rapporto fra uomo e Natura è sempre stato uno dei temi più indagati nelle arti, in particolare l’estenuante tentativo di sentirsi parte delle dinamiche dell’universo. Fin dalle impronte di mani lasciate sulle pareti delle grotte a partire da almeno 41.000 anni fa, e poi giù attraverso i millenni attraverso gli allineamenti megalitici sempre più sofisticati e puntati verso il cielo, oppure tra le più intime e istintive incisioni rupestri, cos’erano queste testimonianze se non il tentativo tangibile e oggettivo di rendere meno fugace il nostro passaggio su questa terra?

Pirandello non aveva guardato così indietro e nel capitolo introduttivo de Il fu Mattia Pascal scrisse che l’origine delle inquietudini dell’uomo moderno era da ricercarsi in Copernico e nella sua rivoluzione scientifica. Fino ad allora, infatti, nessuno aveva dubitato che la Creazione avesse avuto il suo coronamento nella nascita dell’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio, e dal ebbe pure il mal riposto potere di dominare il pianeta e tutte le altre creature; era logico quindi aspettarsi l’insorgere dell’orgogliosa presunzione di ritenersi la figura più importante dell’intero Sistema solare, l’unico conosciuto, del resto. In realtà, già Dante Alighieri, da uomo ponderato e razionale qual era, aveva preso le distanze, letteralmente, da tanta arroganza e nel XXIII canto del Paradiso, mentre lasciava l’ultimo dei cieli verso l’Empireo, laggiù, a grandissima distanza scorgeva la Terra, sperduta e minuscola, nelle profondità siderali, e non senza un’amarissima punta di ironia, la descriveva come “L’aiuola che ci fa tanto feroci” (v. 151). È evidente come intendesse ridimensionare il ruolo della Terra e dell’uomo dentro una scala cosmica, nei confronti della quale l’accanita aggressività del genere umano appariva ridicolmente insignificante.

Questo scostamento si acuì inevitabilmente dunque dopo la rivoluzione copernicana poiché non solo la Terra veniva allontanata dal fulcro della Creazione, ma era evidente ormai che il nostro Sole fosse soltanto uno tra milioni, miliardi… e un tale drastico contraccolpo rese impellente rimotivare, diciamo così, il genere umano.

Dopo l’esuberante parentesi barocca, la quale per molti versi fu un esplicito, volontario e disinvolto mascheramento della realtà, una vera e propria sostituzione del mondo reale con un altro fatto di apparenze ed esteriorità, dalla fine del Settecento e ancora di più durante il Romanticismo, la riflessione dell’uomo sul proprio ruolo nella Storia assunse una centralità allarmante. Non posso fare a meno di ricordare la celebre “Lettera da Ventimiglia”, tratta dal romanzo Le ultime lettere di Jacopo Ortis (1802), di Ugo Foscolo, nella quale si legge: “Questa è la razza degli eroi, de’ capisette, e de’ fondatori delle nazioni i quali dal loro orgoglio e dalla stupidità de’ volghi si stimano saliti tant’alto per proprio valore; e sono cieche ruote dell’oriuolo.” Immagine a dir poco indimenticabile: ognuno come un piccolo ingranaggio di orologio, chiuso nel buio della cassa a girare, girare, convinto d’essere centro e motore del sistema mentre in realtà ne è del tutto inconsapevole, vanamente affannato nel tentativo di comprendere la visione d’insieme mentre a mala pena può scorgere solo ciò che gli accade accanto. In più, attraverso la metafora dell’ingranaggio, sottolineava la concezione meccanicistica dell’Universo stesso che esegue il suo ciclo senza sentimenti né passioni.

E poco sotto Foscolo rincarava la dose, chiamando in causa la Natura stessa: “O natura! hai tu forse bisogno di noi sciagurati, e ci consideri come i vermi e gl’insetti che vediamo brulicare e moltiplicarsi senza sapere a che vivano? Ma se tu ci hai dotati del funesto istinto della vita sì che il mortale non cada sotto la soma delle tue infermità ed ubbidisca irrepugnabilmente [senza combattere] a tutte le tue leggi, perché poi darci questo dono ancor più funesto della ragione? Noi tocchiamo con mano tutte le nostre calamità ignorando sempre il modo di ristorarle.”

Foscolo quindi evidenziava l’incommensurabile distanza e sproporzione tra la Natura, in tutte le sue manifestazioni, e la pochezza dell’uomo, anche inteso come collettività; nondimeno, anche di fronte a ripetuti fallimenti, fu evidente come l’uomo non potesse sottrarsi dall’incessante desiderio di conoscenza impostogli dalla ragione. A proposito di tali fallimenti, in questo articolo avevo già riferito la mia opinione sul pensiero dello stesso Dante in merito alla fragilità delle immagini costruite sulla speculazione filosofica; col passare dei secoli, a complicare ancora di più lo scenario (e ravvivare l’orgoglio dell’uomo) interverranno la scienza e la tecnologia.

Il superamento di tale ristagno fu l’obiettivo della filosofia di Nietzsche che, grazie all’idea del Superuomo, puntava esattamente al superamento dei limiti e delle barriere imposte dalla morale che avevano condotto alla crisi della società del tempo; nel Superuomo l’energia creativa che scaturiva dall’essenza della vita stessa e conduceva a una liberazione. Questa filosofia, per la sua amoralità, fu molto criticata e infine strumentalizzata e distorta dalle dittature del Novecento ma, in effetti, riportava il baricentro in una dimensione egocentrica dell’esistenza.

Molto tempo dopo, Arthur C. Clarke, nel romanzo 2001. Odissea nello spazio, del 1968, tentò una nuova strada, ovvero la coniugazione tra la filosofia del Superuomo e la tecnologia avanzata, fino a farne emergere una nuova forma di intelligenza superiore e il prodotto fu sbalorditivo. Mentre il Superuomo rappresentava un’evoluzione del genere umano stesso verso la perfezione, per Clarke tale evoluzione transitava attraverso il progresso tecnologico, in altre parole un’intelligenza esterna; e proprio la separazione fra creatore e creatura divenne il problema da risolvere. Ma prima di Clarke, altri avevano gettato su questo argomento ben solide basi.

Continua…



2 risposte a “Il Superuomo o il Supercomputer? Alcuni spunti sul rapporto tra uomo, tecnologia e Natura nella Letteratura. Prima parte”

  1. Sempre belle e precise le tue relazioni. Chissà dove ci porteranno!! 🙂 🙂

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  2. […] precedente articolo abbiamo concluso che nella visione futuristica di Arthur Clarke, e mi riferisco in particolare al […]

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