Nel primo articolo dedicato a questo argomento, dopo aver impostato un prospettiva storica a partire dalle premesse scientifiche del XVII secolo, e poi nella rinnovata sensibilità a partire dalla fine del secolo XVIII per arrivare, attraverso l’Ottocento, alle nuove frontiere della fantascienza del XX secolo, nell’articolo successivo, il ragionamento ha toccato il vivo della questione, ovvero il concetto di evoluzione e come questa possa legarsi allo sviluppo tecnologico. Fondamentale ancora è la lettura di alcuni passaggi chiave del romanzo di Arthur Clarke 2001. Odissea nello Spazio, il cui finale si offre a numerosi spunti di riflessione. A noi ne interessa uno in particolare, ovvero l’evoluzione del genere umano, in senso biologico, morale, spirituale. Clarke pose questa evoluzione sotto il giogo, potremmo forse definirlo così, dello sviluppo tecnologico avanzato il quale, a sua volta, cede tuttavia il passo a una condizione ancora superiore e libera che supera tutti i precedenti stati e vincoli conosciuti dall’uomo. Solo la condizione corporea rimane tale ma non influisce in alcun modo sul nuovo essere, il Bambino-delle-Stelle.
La riflessione ci ha portato a sfiorare e poi a collidere con il tema della Creazione e del Creatore: chi ha creato chi? O cosa? Abbiamo visto come Clarke abbia sapientemente sfumato questi confini, gettando un’esca quanto mai allettante. Ma non era stato il primo.
Nel 1956, Isaac Asimov aveva scritto un fantastico racconto dal titolo L’ultima domanda, ambientato sulla Terra, in un futuro non troppo lontano, il 21 maggio del 2061. Gli uomini hanno costruito il Multivac, un supercomputer dalle dimensioni colossali e dalle capacità pressoché illimitate. Per l’umanità Multivac ha risolto “per sempre” il problema energetico, elaborando un sistema per catturare in orbita l’energia del Sole e convogliarla sulla terra. A questo punto Asimov gioca la sua carta. I due protagonisti della prima parte del racconto sono due tecnici della manutenzione ordinaria del computer, Alexander Adell e Bertram Lupov. Alle parole citate tra virgolette del primo, il secondo risponde, forse per pignoleria, forse perché sono un po’ alticci, che potrà esservi energia per sempre:
«Non per sempre» disse [Lupov].
«Oh, diavolo: press’a poco per sempre. Fino a quando il Sole non si spegnerà, Bert».
«Non è per sempre».
«D’accordo, allora. Miliardi e miliardi di anni. Venti miliardi di anni, forse. Soddisfatto?»
Lupov si passò le dita tra i radi capelli, come per assicurarsi che ne rimaneva ancora qualcuno, e sorseggiò lentamente la propria bevanda. «Venti miliardi di anni non è per sempre».
«Insomma, durerà fintanto che ci saremo, no?»
«Lo stesso vale per il carbone e per l’uranio».
A questo punto decidono di domandare a Multivac: “Sarà un giorno l’umanità in grado, senza un consumo netto d’energia, di ripristinare il Sole alla sua piena giovinezza anche dopo che sarà morto di vecchiaia?”
Sul momento il computer sembrò essersi irrimediabilmente guastato, dato lo spegnimento di ogni segnale di attività, niente più ticchettii, niente più spie accese. Poi, improvvisamente, su carta stampata restituì questa risposta: “Dati insufficienti per risposta significativa.”
Il racconto procede per macro sequenze in un futuro via via più lontano ma ognuno dei protagonisti delle storie successive si trova sempre a confrontarsi col medesimo problema dell’energia complessiva dell’Universo che si dirige inesorabilmente verso l’azzeramento.
Di pari passo con l’avanzare del tempo avanza la tecnologia: Multivac, dopo aver raggiunto dimensioni planetarie inizia un processo di miniaturizzazione progressiva ed è diventato un Microvac portatile e le sue capacità di calcolo sono cresciute esponenzialmente. Eppure alla domanda la risposta (sebbene più velocemente) arriva sempre invariata, “Dati insufficienti per una risposta significativa”, anche quando gli umani avranno colonizzato l’intera galassia e il supercomputer sarà diventato un AC-Galattico, senza più un’unica sede e capace di comunicare attraverso l’iperspazio; anche quando gli uomini, grazie alla tecnologia avranno imparato a comunicare telepaticamente e avranno iniziato a colonizzare altre galassia e l’AC sarà diventato Universale la sua risposta non cambierà. Per venire in soccorso al sovrappopolamento dell’Universo, l’uomo avrà imparato ad “archiviare” i corpi e riciclarli, lasciando sopravvivere solo la mente e il pensiero ma di fronte al progressivo esaurimento dell’energia cosmica, al dilagare dell’entropia rimarrà impotente.
L’ultimo uomo, fluttuante nei suoi pensieri, incontrerà per l’ultima volta l’AC-Cosmico, un supercomputer completamente dematerializzato, completamente dipanato nell’iperspazio, in una dimensione atemporale.
L’AC-Cosmico lo circondò, ma non nello spazio. Non un solo frammento di esso si trovava nello spazio. Si trovava nell’iperspazio, ed era fatto di qualcosa che non era né materia né energia. La questione delle sue dimensioni e della sua natura non aveva più nessun significato in nessun linguaggio o simbolo che l’Uomo potesse capire.
«AC-Cosmico» domandò l’Uomo. «Com’è possibile invertire l’entropia?»
L’AC-Cosmico rispose: «I dati sono ancora insufficienti per una risposta sginificativa».
«Ci sarà un tempo» chiese ancora l’Uomo, «in cui i dati saranno sufficienti, oppure il problema è insolubile in tutte le circostanze concepibili?»
L’AC-Cosmico disse: «Nessun problema è insolubile in tutte le circostanze concepibili».
L’Uomo chiese: «Quando avrai dati sufficienti per rispondere alla domanda?»
L’AC-Cosmico disse: « I dati sono ancora insufficienti per una risposta significativa.».
«Continuerai a lavorarci sopra?» chiese l’Uomo.
L’AC-Cosmico rispose: «Lo farò».
L’Uomo disse: «Noi aspetteremo».
Infine l’intero universo morì, divenendo un luogo freddo e completamente buio. L’ultima scintilla di energia si esaurì l’ultimo atomo di materia di dissolse. Lo stesso universo perse il proprio significato e così il concetto di tempo ma, a questo punto non posso che lasciare la parola ad Asimov:
Perfino AC esisteva soltanto per dare una risposta a quell’ultima domanda alla quale non aveva mai risposto da quando un tecnico semiubriaco dieci trilioni di anni prima l’aveva posta a un computer che, rispetto ad AC, era molto meno di quanto fosse un uomo rispetto all’Uomo.
Tutte le altre domande avevano ricevuto risposta, ma fino a quando anche quell’ultima domanda non avesse ricevuto risposta, AC non poteva abbandonare la sua coscienza.
Tutti i dati raccolti erano arrivati a una fine definitiva. Non rimaneva più niente da raccogliere. Ma tutti i dati raccolti non erano stati ancora correlati e messi insieme in ogni possibile rapporto fra essi.
Per farlo fu consumato un intervallo di tempo senza tempo.
E l’AC apprese come invertire il corso dell’entropia.
Ma adesso non c’era più nessun uomo al quale AC potesse dare la risposta all’ultima domanda. Non aveva importanza. La risposta – per la sua dimostrazione – si sarebbe presa cura anche di questo.
Per un altro intervallo senza tempo, AC pensò a quale fosse il modo migliore per farlo. Con molta attenzione AC organizzò il programma.
La coscienza di AC abbracciò tutto ciò che un tempo era stato un Universo, e rifletteva su quello che adesso era il Caos. Doveva procedere un passo alla volta.
E AC disse: «Sia la luce!»
E la luce fu…
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