Quando Ungaretti compose Allegria di naufragi affrontò un tema già intensamente esplorato nella storia della letteratura. Il naufragio è un evento catastrofico, un’interruzione violenta e imprevista, nefasta, fatale della navigazione. Così, ad esempio, lo intendeva Petrarca il quale più volte ha descritto la sua fragile barca, senza più sartie né nocchiero, alla deriva verso la distruzione. E questo evento più volte presagito trovava compimento nella tragica canzone Che debb’io far? che mi consigli, Amore? scritta in occasione della morte della donna amata, Laura: la nave, metafora della vita e dell’Amore, si schianta sugli scogli e la rovina è totale.

Con il medesimo significato il naufragio, anche nella narrativa del XIX secolo, è sinonimo di perdita e distruzione, ma anche di ricerca del sublime e gli esempi si moltiplicano: dalla tragica spirale in cui vengono travolti i Malavoglia, nel romanzo omonimo di Giovanni Verga, originata proprio dal naufragio della barca su cui fondano la propria sussistenza fino alle inebrianti e perfino invasate esperienze dei balenieri del Pequod in Moby Dick di Melville. Ma il naufragio non è sempre sinonimo di catastrofi: diviene infatti l’occasione perché Dio, attraverso la divina Provvidenza, possa manifestare tutta la sua potenza salvifica, come nell’ode Il cinque maggio di Alessandro Manzoni. Ma soprattutto l’immagine del naufragio è intimamente legata al capolavoro di Giacomo Leopardi L’infinito. Il “dolce” naufragare dell’Idillio ha il significato di fondersi, disperdersi o, come scritto pochi versi prima fingersi ovvero plasmarsi – secondo il significato etimologico del verbo -, adeguarsi col tutto. Proprio quest’ultimo pensiero è il ponte di collegamento diretto con una necessità vitale che Ungaretti descriverà chiaramente nelle poesia I fiumi:

Il mio supplizio
è quando
non mi credo
in armonia

Seguendo quindi la scia di Leopardi, il naufragio anche per Ungaretti si svuota di ogni connotazione negativa per divenire una sorta di occasione per ripartire. Leggiamo allora la poesia:

Allegria di naufragi

(Versa il 14 febbraio 1917)

E subito riprende 
il viaggio 
come
dopo il naufragio 
il superstite 
lupo di mare

Il nostro poeta ha quindi voluto legare con uno splendido ossimoro naufragio e allegria e proporlo come un’occasione da cogliere: non c’è tempo per il rammarico, né per il cordoglio e tanto meno per la commiserazione. Il vecchio lupo di mare sa che il naufragio è un pericolo reale ma è parte del suo essere marinaio e se deve accadere questo non basterà a fermarlo. Eppure, se leggiamo e rileggiamo questo testo, percepiamo che la tragicità del naufragio è ancora tutta lì e dall’esperienza ne usciamo effettivamente come superstiti e in quanto tali coi dubbi e i sensi di colpa di chi, per ragioni del tutto fortuite e sconosciute è sopravvissuto; ed è solo.

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