Su Francesca da Rimini e Pia dei Tolomei, due affascinanti protagoniste immortalate nella Divina Commedia, sono stati scritti chissà quanti testi di commento, e leggendo le loro cupe vicende molti cuori continuano ancora oggi a emozionarsi. Non sarò quindi io ad aggiungere alcunché, solo colgo l’occasione per riordinare un po’ le idee. Vediamo.
Dante ci presenta le due nobildonne agli antipodi l’una dell’altra, morali innanzitutto e in conseguenza di questo anche geografici, essendo il Purgatorio di Pia opposto all’Inferno, dov’è punita Francesca; quest’ultima è protagonista assoluta sul proscenio del proprio canto, in penombra e fugace, nell’ultimo scorcio l’altra e latrice di parole tragiche e potenti la romagnola, umili e appena allusive la senese. Due donne tanto diverse (ma poi lo saranno state davvero?), raccontate a distanza di una cantica esatta, quinto dell’Inferno e quinto del Purgatorio.

Ma prima della poesia, la Storia e i fatti, con la premessa che per entrambe le signore la documentazione è terribilmente avara e le informazioni tendono più a confondere le idee che a chiarirle: le loro vicende terrene si basano infatti su pochissimi dati verificabili e su un vivace repertorio leggendario, tramandato e probabilmente arricchito nel tempo, amplificato e probabilmente incoraggiato dalla risonanza a loro tributata nella Divina Commedia, e questo senza niente togliere al dramma che certamente o almeno molto probabilmente vissero.
Iniziamo con Francesca.

Francesca da Rimini

Figlia di Guido da Polenta, nata attorno al 1260, andò in sposa nel 1275 (non più che diciassettenne, almeno trentenne lui, e poteva andarle peggio) al deforme e (si dice) brutale Gianni Malatesta, detto Gianciotto (da “ciotto” = claudicante), matrimonio concordato dalle rispettive famiglie per reciproci vantaggi politici, celebrato per procura, e probabilmente senza un briciolo d’amore da parte di lei, ma questo genere di strategie parentali erano del tutto consuete tra i potentati del tempo e le giovani non potevano che chinare la testa e imparare a tollerare, se non proprio amare, i propri mariti. Secondo la leggenda, nel castello di Gradara (ma esistono varianti ambientate in altri possedimenti dei Malatesta), Francesca incontrò di nuovo (e una volta di troppo) Paolo, fratello minore di Gianciotto, pure lui già sposato con Orabile Beatrice dei Ghiaggiolo, e detto nei documenti “il Bello”, figuriamoci: l’antitesi assoluta dello storpio fratello, nella forma e nei modi! Sì, di nuovo, perché proprio Paolo era stato procuratore del fratello accanto a Francesca in occasione del matrimonio e si vocifera che addirittura ne fosse sorto un imbarazzante equivoco quando Francesca scoprì che il marito non era affatto il nobile cavaliere che aveva trovato ad attenderla. Dante si schiera subito e fa dire a Francesca che quando si trovarono a leggere assieme di Lancillotto e Ginevra i due erano innocenti e senza alcun sospetto. Sarà stato davvero così oppure già i due si erano addentrati in zone pericolose? In ogni caso, parola di lei, quell’occasione si innamorarono ma un servo spione assisté al bacio che suggellò il loro incauto amore, avvisò Gianciotto e lui senza battere ciglio fece strage di moglie e fratello. Era il 1283-85.

Se pensiamo che il Codice penale italiano si è liberato delle attenuanti ammesse per il delitto d’onore solo nel 1981, nel Medioevo il fatto probabilmente non suscitò particolare sdegno ed è opportuno tuttavia segnalare che nelle cronache del tempo non v’è traccia alcuna del duplice omicidio, del resto il Malatesta aveva tutto l’interesse ad abbuiare il doppiamente proditorio adulterio e soprattutto si era concretizzata l’occasione per liberarsi della moglie e convolare rapidamente a nuove nozze con Zambrasina degli Zambrasi, reputando assai più conveniente orientare i nuovi interessi familiari e personali verso la città di Faenza, della quale la sposina e soprattutto il suo casato erano lustro. 

Pia dei Tolomei

Assai più nebulosa è la biografia di Pia. Secondo la tradizione, che in larga misura si appoggia alle conclusioni tratte dai primi commentatori del testo della Commedia, apparteneva alla famiglia senese dei Tolomei, ma nel casato in realtà non ce n’è traccia alcuna, almeno non in quegli anni, e sarebbe poi andata in sposa Nello dei Pannocchieschi, uomo politico dalla rampante carriera, all’apice del suo successo podestà di molte città toscane. Il matrimonio evidentemente prese una brutta piega e a Castel di Pietra, presso Gavorrano (Provincia di Grosseto), si consumò nel sangue, con la sposa precipitata da un’alta finestra. Circolò, con scarso credito, una versione che attribuiva la morte a cause più naturali, dalla malattia al crepacuore, così come non mancarono ritratti poco lusinghieri della dama, la cui volubilità avrebbe indotto il marito a segregarla (da qui forse le fatali angustie di lei?). 

Il teatro del presunto crimine oggi è in rovina, affascinanti rovine indagate in anni recenti da uno scrupoloso scavo archeologico, ma sarebbe un caso un po’ troppo cold anche per i super specialisti della serie crime dei nostri tempi. La sorte ha voluto che siano sopravvissuti i ruderi di alcuni ambienti residenziali, il “palazzo” del casello per intenderci, e allora come non identificare una delle stanze come la “Torre della Pia” e la finestra conservata proprio lì il “Balzo della contessa”? Allettamento turistico assai macabro ma efficace, date le circostanze, la bella escursione e il paesaggio maremmano su tutto l’orizzonte; e davanti a quella vuota apertura che si apre tra il verde e l’azzurro l’immaginazione corre lontano: cosa accadde davvero tra quelle mura, e fu proprio da quella finestra, o da un’altra un po’ più in là, o magari scomparsa? Si gettò, fu spinta, e da quale mano? Non lo sapremo mai.

In tutti i casi, come l’omologo romagnolo, anche Nello con sospetta prontezza tornò all’altare al fianco nientemeno che della contessa Margherita degli Aldobrandeschi, già vedova del Guido da Montfort che era stato braccio destro di Carlo d’Angiò, imparentandosi così con la famiglia più potente della Toscana medievale; e almeno su questo matrimonio c’è una solida base documentaria. 

Riguardo Pia, negli studi storici s’è fatta strada l’idea che, se mai è esistita, doveva essere una Malavolti, altro potentato senese, andata in sposa, anche lei per procura, a Tollo Aldobrandeschi tramite proprio il nostro Nello. Parrebbe quindi esserci stato ab antiquo un evidente scambio di persona a dare corda a un’altra sanguinosa leggenda coniugale medievale, oppure un intreccio ancora più losco e conturbante.

Francesca e Pia nella Commedia

Al tempo di Dante, i due fatti distavano una ventina d’anni e forse ne sapeva più di noi poiché le notizie erano più fresche, oppure anche lui non aveva raccolto che il morboso chiacchiericcio cresciuto su eventi dei quali, ammesso che fossero veri, in giro se ne sapeva comunque poco. Oppure, altra ipotesi, Dante aveva capito che c’era già una buona dose di confusione e tanto lo indusse a muoversi con cautela, sfumando i suoi endecasillabi in forme ambigue e reticenti, soprattutto nel caso di Pia: a dare il via alla danza dei fraitendimenti pensiamo solo a quanto si somigliassero i nomi di Nello e Tollo, col primo all’altare al posto del secondo. Certo è che quelle storie, condite di narrazioni verosimili, erano terribilmente allettanti ai fini della Commedia. Ma in che modo sfruttarle?

Paolo e Francesca erano gli attori di un adulterio consumato e per tanto condannati tra i peccatori di lussuria trascorrendo l’eternità ancora abbracciati così come, in tutti i sensi, furono trapassati, si dice, nel medismo affondo di spada di Gianciotto. È il Quinto canto dell’Inferno e la dama prende la parola pronunciando alcuni tra i versi più inarrivabili dell’intera Commedia. Già sappiamo quanta compassione gli mosse ascoltarla, tanta da relegare in secondo piano la dannazione eterna, tanta da farlo svenire dall’emozione, non prima d’aver dato modo a lei di denunciare l’orrore per la brutalità del marito per il quale profetizza una futura pena ben peggiore della sua. 

Dopo Francesca non ci sono più incontri con personalità femminili fino a Pia dei Tolomei, Quinto canto del Purgatorio, sarà un caso? Pia si trova in realtà ancora nell’Antipurgatorio, tra i morti ammazzati, il che li ha costretti ad abbracciare l’amore di Dio e domandare il suo perdono solo al momento estremo e questo impone loro di stazionare in attesa un tempo pari alla loro vita terrena prima di iniziare il percorso purgante. Lei non è stata colta in flagranza di adulterio e anche se è poco credibile che Dante non sapesse niente delle dicerie che ronzavano al tempo, ma tanto basta per collocarla sulla via della salvezza. 

Nel raccontare la sventura della nobildonna senese però Dante ha le mani legate perché sa di inoltrarsi in un terreno sconosciuto, e per scansare i vuoti incolmabili della storia le fa pronunciare una vera e propria epigrafe funeraria che galleggia su mezze parole, allusioni cortinate da grande malinconia me che si chiudono in ogni caso attorno a un soggetto poco illuminato. 

Ecco i celebri versi:

"ricorditi di me, che son la Pia;
Siena mi fé, disfecemi Maremma:
salsi colui che ’nnanellata pria

disposando m’avea con la sua gemma". (Purg. 5, 133-136)

Alla fine, se ci pensiamo bene, è proprio questo: tanta oscurità e un’ombra violenta e fatale sulle loro vite.


Per approfondire:

Dante Alighieri
Su di un verso (e non solo) del Canto V dell’Inferno di Dante Alighieri

4 pensieri riguardo “Francesca da Rimini e Pia dei Tolomei

  1. Ogni tanto penso a come sarebbe magico avere la possibilità di riavere Dante qui tra noi almeno per 2-3 giorni, in modo da porgli quelle domande che inevitabilmente ci chiarirebbero molti dubbi che ci siamo posti leggendo la sua “comoedia”

    Piace a 1 persona

    1. Sarebbe bello davvero! E quando anche nei libri più esperti si legge di passi oscuri devono esserlo davvero. Poi ce ne sono anche alcuni che, onestamente, potevano venirgli meglio, ma credo che non ci si di che lamentarsi. No?

      Piace a 1 persona

      1. Banale non lo so. In un mio libricino su Dante, parlando delle fonti della Commedia, scrissi che in effetti, alla fin fine, l’unica vera fonte era Dante stesso e la sua incredibile fantasia e vena artistica.

        Piace a 1 persona

Scrivi una risposta a Kikkakonekka Cancella risposta

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.