Nel 1916 la Officine Elettriche Genovesi prese in carico la concessione per costruire uno sbarramento sul torrente Orba, in Liguria, vicino al confine col Piemonte, non molto lontano da Ovada (AL). L’orografia del territorio scelto per la costruzione era molto particolare perché il torrente compiva in quel punto un profondo meandro attorno al monte Bric Zerbino, tanto stretto che il punto d’ingresso e di uscita quasi coincidevano, separati solo dal sottile lembo di Sella Zerbino, sul quale fu costruito un secondo sbarramento. Si formò così il grande Lago di Ortiglieto.

Dopo dieci anni che l’impianto era in servizio, il 13 agosto del 1935 un nubifragio di catastrofica intensità si riversò sulla zona. L’Orba, ben noto per le sue intemperanze idrogeologiche, si ingrossò a dismisura andando in poche ore a riempire l’invaso fino alla massima capienza. A quel punto la diga secondaria non resse e collassò, e l’enorme massa d’acqua retrostante precipitò giù, portandosi dietro per erosione l’intera montagna. Il muro d’acqua distrusse molte località fino a Ovada, causando circa 120 vittime.

La Diga principale oggi

La Diga principale o Diga di Bric Zerbino

I lavori di costruzione iniziarono nel 1922 e si conclusero nel 1925. Il primo progetto di sbarramento sull’Orba, secondo quanto stabilito dalla concessione, prevedeva una diga a gravità alta 34 metri ma in corso d’opera, per aumentare il rendimento della diga fu stabilito di sopraelevarla di altri 13, aumentando il volume dell’invaso da 8 a 18 milioni di metri cubi; era lo stesso, nefasto anno 1923 lo stesso del crollo della diga del Gleno. Con i suoi nuovi 47 metri di altezza e 200 di lunghezza, la nuova diga avrebbe sostenuto la massa d’acqua fino alla quota di 322 metri s.l.m. ovvero 12 metri più in alto di Sella Zerbino (310 metri s.l.m.), ubicata circa mezzo chilometro più a monte della diga. In altre parole, senza un ulteriore intervento il lago artificiale sarebbe tracimato, tagliando fuori l’intero meandro dell’Orba e per ovviare a tale problema fu deciso con troppa disinvoltura di costruire in quel punto un secondo sbarramento per colmare il dislivello.

Per la gestione dell’invaso la diga maggiore fu equipaggiata sul bordo superiore di 12 sfioratori di superficie con un tiraggio a sifone che sarebbero entrati in azione automaticamente nel caso che per una grave piena il livello del lago si fosse avvicinato al limite di tracimazione. Con questo sistema si garantiva uno scarico forzato dell’acqua dall’alto direttamente sulla parete a valle della diga, senza gli impatti degli scarichi a cascata ma solo un veloce scorrimento superficiale, fino al ripristino del livello di sicurezza.

Vi era poi uno scarico di fondo, a quota 280 metri s.l.m. per svuotare completamente l’invaso e uno scarico semi-profondo, posto a una quota intermedia, circa 295,5 metri s.l.m.; il primo dei due era manovrato a comando tramite una saracinesca e il secondo entrava in azione autonomamente con un sifone a campana. In ultimo, sul fianco destro della diga si apriva uno scivolo a stramazzo, dalla portata massima di 130 mc al secondo. In breve, i sistemi di svuotamento d’emergenza erano ritenuti più che sufficienti per gestire anche l’emergenza meteorologica più estrema. Questo sulla carta. 

Nella realtà i primi guai arrivarono già al primo collaudo dello scarico di fondo poiché entrando in azione generò una fortissima vibrazione, tanto intensa da sconsigliarne caldamente l’utilizzo, ritenendo che potesse compromettere la stabilità della stessa diga. Le ragioni di questo tremore legato al deflusso dell’acqua non sono state mai chiarite; nello studio del 2003 di Vittorio Bonaria e Giovanni Tosatti, Il disastro di Molare del 1935 in Valle Orba (AL): un Vajont dimenticato, si riferisce l’ipotesi che a innescarlo poteva essere il mancato ridimensionamento della portata del condotto di scarico, dopo che questo era stato prolungato di 14 metri a seguito dell’ampliamento dello spessore di base della diga, per assecondare la sua sopraelevazione. 

La Diga principale operativa

La Diga secondaria di Sella Zerbino

Come già scritto, la decisione di sopraelevare di 13 metri la diga rispetto al progetto iniziale, comportò che il livello dell’invaso, una volta riempito, avrebbe superato nel suo percorso la quota di Sella Zerbino (322 metri s.l.m. del lago contro i 310 della Sella). Per questa ragione si decise di rimediare costruendo sulla Sella un secondo sbarramento di circa 14 metri d’altezza per una lunghezza di 110 che facesse da sponda alle acque del lago. La posizione però non poteva essere peggiore: dal punto di vista idrodinamico, si trovava sul lato esterno della curva d’ingresso dell’Orba nel meandro del Monte Bric, quindi soggetta alla massima pressione di un’eventuale piena; in più, nonostante le rassicuranti conclusioni di una frettolosa perizia geologica, già in fase di sbancamento la roccia si rivelò scarsamente resistente, soprattutto a causa di evidenti fratturazioni da stress che avevano formato linee di discontinuità e dobolezza molto marcate, ancora oggi facilmente osservabili. Nonostante questo il progetto non si fermò e una volta concluso, quando la seconda diga fu raggiunta dall’acqua, si manifestarono perdite d’acqua e cedimenti, tanto da rendere necessarie massicce quanto inefficaci iniezioni di cemento di consolidamento.

In questo scenario, all’inizio del 1926, l’impianto entrò ufficialmente in produzione.

La diga di Sella Zerbino

1935 – il crollo della diga di Sella Zerbino

L’estate del 1935 fu particolarmente avara di piogge, tanto che la OEG, responsabile dell’impianto, fu costretta a imporre una riduzione della produzione elettrica; contestualmente, per favorire la conservazione dell’acqua, dispose la chiusura di tutti gli scarichi della diga in modo da mantenere il lago ai livelli operativi.
Purtroppo all’alba di martedì 13 agosto avvenne l’impensabile. Precipitazioni di straordinaria violenza iniziarono a rovesciarsi sull’alta Val d’Orba. Gli abitanti della zona erano preoccupatissimi per questo scenario apocalittico ma non potevano immaginare quanto più lo fossero i tecnici della diga. Alle ore 10 del mattino, dopo un rapidissimo innalzamento del livello del lago, l’acqua aveva raggiunto gli sfioratori ed era iniziato lo scarico sommitale, la cui capacità tuttavia fu subito drasticamente ridotta dall’ostruzione provocata dai numerosi detriti trascinati dalla piena. Nella tarda mattinata il maltempo parve calmarsi ma era solo una breve tregua; verso mezzogiorno riprese a diluviare, tanto che in otto ore di quella giornata alcuni dei pluviometri registrarono fino a oltre 400 mm di pioggia.
Di fronte a quel cataclisma meteorologico, i sistemi di scarico rapido della diga fallirono uno dopo l’altro: fu tassativamente comandato che la valvola di fondo rimanesse chiusa, nel timore che con una tale pressione dell’acqua la vibrazione sarebbe stata fatale per la struttura; gli sfioratori a quanto pare verso le 10.30 erano già in gran parte bloccati da tronchi e fango, e per lo stesso motivo anche la valvola semi-profonda non riuscì a entrare efficacemente in azione. La diga di Bric Zerbino non aveva più carte da giocare, e non c’era più niente da fare.

Attorno alle 13.15, ma non c’è concordanza sull’orario, quando il lago di Ortiglieto aveva raggiunto la quota di oltre 326 metri s.l.m. ovvero più di tre metri l’altezza delle dighe e l’acqua tracimava copiosamente, la forza del lago in piena strappò via letteralmente la fragile e mal fondata Diga di Sella Zerbino, liberando circa 25 milioni di metri cubi di acqua, fango e ogni altro genere di detriti raccolti. La forza erosiva dell’acqua che precipitava giù dalla Sella fu tale che ne fu erosa l’altezza di molte decine di metri, e nei giorni successivi si completò quasi il livellamento tra i due lati, ragion per cui l’Orba adesso taglia dritto in quel punto, escludendo il meandro originario, ormai del tutto fossile.

Sulla sinistra, Sella Zerbino spazzata via dall’erosione della piena

La piena, un’onda alta venti metri, si riversò nella vallata, radendo al suolo ogni struttura sul suo percorso: infrastrutture dell’impianto idroelettrico, la stessa centrale idroelettrica e poi l’abitato di Molare, fino a raggiungere dopo una ventina di minuti la stessa Ovada, anch’essa in gran parte spazzata via.
Le vittime stimate furono circa 120.


Fonti

http://www.molare.net/
Il disastro di Molare del 1935 in Valle Orba (AL): un Vajont dimenticato
https://it.wikipedia.org/wiki/Disastro_di_Molare

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4 pensieri riguardo “Il disastro della Diga di Molare – 1935

  1. Ti assicuro che non ne sapevo nulla.
    Leggendo, mi pare di capire che gli errori umani siano stati molti e determinanti per la catastrofe, mi domando come dei – sicuramente validi – progettisti e geologi possano aver avallato una struttura così precaria.

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    1. Hai letto il precedente articolo sul crollo della diga di Pian del Gleno? La motivazione è sempre il profitto: nel primo caso risparmiando sui materiali e sulla loro qualità, qui aumentando ingordamente le capacità dell’invaso. Ahimè, il profitto è sempre la chiave che apre tutte le porte.

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