Stasera
(Versa, 22 maggio 1916)
Balaustrata di brezza per appoggiare stasera la mia malinconia
L’analisi metrica
Il componimento, pubblicato nella prima raccolta L’Allegria, si sviluppa in un’unica terzina di versi ottonari, o meglio, la lettura metrica porterebbe a due settenari e un ottonario centrale ma il ritmo della poesia è tanto disteso da suggerire l’idea di una lettura pacata che escluda ogni sinalefe. Non ci sono rime ma nel secondo verso spicca una elegantissima rima imperfetta interna; non solo, la preposizione iniziale per dà la nota alla perfetta e ripetuta e multipla allitterazione dello stesso verso.
La stessa musicalità la ritroviamo anche nel verso conclusivo, dolcemente aperto nel ricorsivo suono di a, i, o, incorniciate tra morbide labiali e nasali.
Interpretazione e commento
È sempre complesso interpretare Ungaretti, in particolar modo laddove le sue ardite analogie giungono a spiazzare i nostri sensi. Stasera è una delle poesie, in tal senso, più intriganti.
Nella sua perfezione, è intimamente imbarazzante, tanto limpida quanto sfuggente. Eppure la struttura analogica che la caratterizza è chiarissima: anche ai miei studenti, quando si accingono a interpretare e analizzare una poesia, chiedo sempre innanzitutto di vederla, con gli occhi della mente, del cuore, come ognuno vuole; ma l’importante è creare un’immagine. Una balaustra, una brezza… la malinconia. La prima immagine è facile, tutti hanno in mente una balaustrata, così come (anche se è una percezione tattile) la sensazione della brezza sulla pelle; ma la malinconia? Come rappresentarla?
Ricordo bene l’immagine che la poesia formò nella mia testa alla prima lettura, tanto tempo fa. C’era un uomo di spalle, alle ultime luci grigie del giorno, appoggiato in avanti a una balaustra di pilastrini sagomati. Lui guardava di fronte a sé ma in realtà davanti non c’era niente, nessun paesaggio. Eppure ero sicuro che dovesse pur esserci, altrimenti che guardava, lui? ma era difficile, poteva essere tutto, tutto assieme, tutti i posti visitati, troppi… e nessuno. E senza accorgermene la malinconia era lì, vivissima. Ho cercato di sostituirmi a quell’uomo e saggiare il peso del mio corpo sui gomiti, sugli avambracci appoggiati alla balaustra, ruvida e un pochino dolorosa. Ho percepito la brezza, fresca e piacevole; tutto il paesaggio in realtà era nel vento leggero, era fatto di ricordi e lontananze. L’analogia a quel punto era perfetta: pensieri e memoria si sono sollevati in quella brezza, rendendo in un certo qual modo superflua la stessa balaustra.
Come spesso accade nelle sue poesie di guerra, Ungaretti ha bisogno di collocare, ben radicate nel suo presente, le proprie percezioni; ha bisogno di sentirsi parte di un complesso, di percepire con pienezza che è vivo, in ogni sua parte. Hic et nunc, qui e ora… il futuro è una fragile trina, come scrive nella poesia In dormiveglia, fatto d’incertezza e dubbio. Anche in Stasera, forse questa necessità è più viva che mai, e il poeta specifica “stasera”, spiccato nella forma per inciso. Se ci pensiamo, in questo esatto contesto, l’avverbio non fa che isolare ancora di più il momento, la sua eccezionalità e irrepetibilità e per corollario, la solitudine del poeta.
Eppure, seppur sfumata in secondo piano nell’impalpabile brezza, la “balaustrata di brezza” mantiene la sua solidità, il suo sostegno, come scrivevo sopra, è tangibile. Più avanti, Ungaretti cercherà come un naufrago disperato ogni sorta di appiglio a cui tenersi, per evitare di affondare nell’abisso della guerra e della follia: così erano state le tormentate mani del compagno massacrato di Veglia, così saranno la morbida poltrona di Bosco cappuccio in C’era una volta, la fredda pietra del San Michele di Sono una creatura e infine i sassi dell’Isonzo e il martoriato albero di I fiumi.
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