La spedizione perduta di Franklin
Pochi giorni fa, lo scorso 24 settembre per l’esattezza, il Journal of Archaeological Science ha pubblicato un articolo di eccezionale rilevanza sia scientifica che storica, dal titolo Identification of a senior officer from Sir John Franklin’s Northwest Passage expedition.
Nei precedenti e sopra citati articoli, la ricostruzione della incredibile e tragica storia della Spedizione Franklin si concludeva con la scoperta dei relitti delle due navi, avvenute nel 2014 e nel 2016, rispettivamente della HMS Erebus e HMS Terror, riaccendendo anche per il grande pubblico l’attenzione per questa sfortunata pagina dell’esplorazione geografica del XIX secolo.
Dopo la pausa imposta dalla pandemia di COVID-19 e la risoluzione di alcune questioni legali in merito alla proprietà dei rinvenimenti, la ricerca archeologica è ripartita di gran carriera e sebbene l’esplorazione sottomarina dei relitti sia estremamente lenta poiché è necessario addentrarsi con mille cautele con mezzi teleguidati all’interno degli scafi pressoché integri ma estremamente fragili, e perché gli archeologi subacquei hanno a disposizione nelle acque subpolari una finestra operativa nel corso dell’anno assai ristretta, nonostante tutto questo sono stati riportati in superficie già 275 reperti di diversa natura.
Dal 2021 è poi iniziato un campionamento sui resti umani della spedizione, recuperati nel corso degli anni, seguendo la lunga marcia disperata che tentarono per raggiungere la terraferma. Sono stati contati i resti di 105 scheletri, quindi quasi la totalità degli equipaggi delle due navi, ovvero 14 ufficiali e 110 marinai.
L’indagine, promossa dall’Ente Parks Canada e condotta dalle canadesi University of Waterloo e Lakehead University di Thunder Bay, è iniziata col prelievo del DNA dei discendenti accertati dei membri della spedizione, dopodiché si sono cercate corrispondenze sui reperti. I risultati non si sono fatti attendere.
Oltre alle tre mummie già scoperte e identificate sull’Isola di Beechey, adesso anche il cranio rinvenuto sull’Isola di Re Guglielmo ha il nome di John Gregory, Ufficiale ingegnere a bordo della Erebus, del quale è stato possibile ricostruire anche la fisionomia (si veda il link sotto per i dettagli).
https://polarjournal.ch/en/2021/05/10/first-lost-member-of-the-franklin-expedition-identified/
Con lo stesso procedimento è stato possibile riconoscere la mandibola di James Fitzjames, comandante della Terror dopo la morte di Franklin. La meticolosa osservazione dei reperti ossei ha altresì accertato il cannibalismo, sospettato già dal tempo delle prime spedizioni di soccorso e poi confermato dalle prime indagini sui reperti, praticato dai superstiti sui compagni deceduti. In tal senso sono state interpretate le indentature e i raschiamenti ben visibili sulla mandibola di Fitzjames.

Non meno interessante la cospicua mole di reperti recuperati: si possono ammirare strumentazione scientifica, per la navigazione, oggetti d’uso personale d’ogni tipo. Purtroppo, ancora i grandi assenti sono i Libri di bordo delle due navi. Il lavoro è ancora all’inizio.
Dal link sottostante è possibile ammirare i reperti già restaurati e pubblicati, suddivisi per anno. Buona visione.

Non vedo tuttavia come i libri di bordo possano aver resistito lì sotto così a lungo.
Ad ogni modo è sempre interessante come, partendo da uno o più reperti, si possano ricostruire fisionomie, situazioni, aspetti storici.
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Se non ricordo male le pagine dei libri di bordo della Royal Navy non erano di carta ma di lino, in più la temperatura dell’acqua bassissima e la scarsissima salinità contribuiscono a prolungare la vita dei reperti organici. La loro lettura contribuirebbe a colmare molte lacune della vicenda, almeno finché non fu deciso di abbandonare le navi. Per il resto, sì, concordo: è importante che diverse discipline cooperino con un’unica finalità e come questo articolo dimostra i risultati possono essere davvero straordinari.
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Oddio, di lino… comunque una fibra naturale che potrebbe essere anche attaccata dai pesci. Però, non si sa mai. Avevo anche pensato alla pergamena, che magari è resistente anche sott’acqua.
Ma, se ci pensiamo, non si tratta di rimanere lì sotto per giorni, ma per decenni e decenni.
Ho anche pensato ad una “cassetta di sicurezza”, dove magari venivano custoditi i libri di bordo, e forse a tenuta stagna. Chi lo sa?
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