La formazione e le prime esperienze

Nato il 18 agosto del 1867, Percy Harrison Fawcett fu un esploratore, cartografo e archeologo britannico, passato alla storia per l’inesauribile passione e dedizione profuse nella ricerca di una presunta civiltà perduta nel cuore della foresta Amazzonica e in particolare di una mitica città. Di lui si racconta quanto fin da piccolo fosse affascinato dei viaggi di esplorazione dei grandi pionieri della navigazione, in particolare Vasco da Gama e Francis Drake. 

Percy Harrison Fawcett nel 1911

Arruolato nella Royal Artillery, prestò servizio in Nord Africa e lì iniziò la sua formazione come cartografo, partecipando a operazioni di mappatura e rilevamento del territorio ad uso militare. La vera occasione per mettersi alla prova arrivò tuttavia vent’anni dopo, nel 1906, quando la Royal Geographical Society lo incaricò di mappare un’ampia regione in Sudamerica seguendo il corso del Rio Verde. Raggiunta Cuiabá, la spedizione si inoltrò per un anno intero in quello che fino ad allora era ritenuto dalla comunità scientifica il “deserto verde”, ovvero una regione nella quale non ci fosse alcuna traccia della presenza umana, al di là di poche sparute tribù di “selvaggi”. Per quanto Fawcett fosse estraneo a implicazioni economico-politiche, lo scopo della sua missione non era propriamente ed esclusivamente scientifico. I confini politici in quella regione erano poco chiari e all’epoca la foresta pluviale era la fonte di una nuova importantissima fonte di ricchezza: la gomma. 

La spedizione mappò dettagliatamente un’area di circa 1.500 chilometri quadrati ma, oltre gli aspetti puramente topografici, fu l’occasione per Fawcett di perfezionare la sua esperienza e capacità organizzative per missioni esplorative in quelle terre, ma soprattutto per entrare in contatto con numero diverse comunità indigene, riuscendo a stabilire un contatto amichevole laddove, prima di lui, gli esiti erano sempre stati fatali per gli occidentali. 

La seconda spedizione (1910-1912)

Nel corso della prima spedizione, dai dialoghi con le comunità indigene e da raffinati reperti ceramici inequivocabilmente antichi raccolti nell’intrico della giungla, iniziò a farsi largo in Fawcett l’opinione che queste testimonianze fossero l’eredità, ormai pallida ma non ancora del tutto estinta, di una prosperosa civiltà evoluta, urbanizzata, la quale, di fronte all’implacabile avanzata dei conquistadores si era progressivamente ritirata nelle profondità più inaccessibili della foresta pluviale, fino a far perdere ogni traccia dietro di sé. In particolare egli era convinto dell’esistenza di una grande città, ancora sconosciuta, e che lui battezzò Z, intesa come l’ultimo tassello mancante per la ricostruzione della storia del Sudamerica. 

Per questa teoria fu deriso dall’ambiente accademico, tacciato di follia, ritenuto abbagliato come molti in passato dalla mitica città di El Dorado. A dire il vero gli stessi europei avevano lasciato più testimonianze scritte di questa plausibile eventualità, ma erano sempre state ridimensionate alla stregua di resoconti più o meno fantasiosi, convinzione avvalorata dal fatto che per quanto fossero state organizzate nel corso del XVI secolo massicce esplorazioni, alla ricerca, nessuna aveva prodotto risultati tangibili e tutte si erano risolte in completi disastri conclusi tragicamente. 

Nonostante le numerose spalle che si voltarono contro di lui, Fawcett rimase fermamente convinto della sua teoria – della quale peraltro era gelosissimo e della quale custodiva ogni informazione con il massimo della segretezza, conservando tutto nella sua testa e scrivendo pochissimo nel timore di essere superato in questa caccia senza tregua – e nel 1910 ripartì con l’obiettivo della risalita fiume Heath, tra Perù e Bolivia. La RGS gli aveva rifiutato il sostegno e quindi la nuova spedizione fu sostanzialmente autofinanziata, con l’aiuto di poche sponsorizzazioni. I superstiti, molti dei quali segnati permanentemente da ferite e postumi di malattie tropicali, tornarono dopo due anni e con circa 10.000 chilometri quadrati di nuove esplorazioni al loro attivo. Ma di Z nessuna traccia, anche se da nuovi contatti con altre comunità indigene Fawcett ottenne nuove conferme dirette e indirette di una grande civiltà del passato e ormai perduta, esistita in quelle regioni.

Al tempo, le difficoltà incontrate in quel genere di viaggio erano enormi e le insidie mortali erano in agguato a ogni passo; rettili velenosi, piranha, giaguari, insetti portatori di malattie, fame e fatica erano la quotidianità che minava la tenuta fisica e psicologica dei membri delle spedizioni. Al contrario pareva che Fawcett fosse immune a tutto questo, il che lo ammantava della fama (e un poi lui stesso ci credeva) di invincibilità. La verità era che la sua determinazione e l’ottima condizione e preparazione mentale e fisica gli consentivano di sopportare, e imporre, fatiche sovrumane per lunghissimi periodi e contro ogni avversità. Mi hanno colpito particolarmente le narrazioni degli attacchi notturni dei pipistrello vampiro, il cui morso è talmente affilato che quasi non produce dolore, specialmente se l’aggressione avviene durante il sonno; in più la loro saliva contiene un potentissimo anticoagulante che consente di suggere dalla vittima grandi quantità di sangue, lasciandola ulteriormente debilitata e con ferite esposte a ogni genere d’infezione. Oppure assalti micidiali di gruppi di formiche voracissime che si nutrivano anche di fibre tessili, e dunque capaci in una notte di distruggere completamente abiti, zaini e corde, rendendo impossibile il trasporto delle scorte e delle attrezzature indispensabili alla sopravvivenza.

La terza spedizione (1925)

La Seconda guerra mondiale impose una pausa anche ai viaggi di esplorazione. Fawcett fu richiamato nel 1914 e combatté in Francia, sul Fronte occidentale; in particolare si distinse durante la furiosa Battaglia della Somme, nel 1916, il che gli valse l’encomio della Medaglia di Commendazione.

Ma anche in guerra, la sua mente era sempre in Amazzonia e dopo il congedo spese gli anni seguenti a reperire fondi per organizzare una nuova spedizione alla quale partecipò anche il figlio Jack.

La destinazione scelta fu il Mato Grosso ma la spedizione, inghiottita nelle profondità della foresta non fece più ritorno e non se ne seppe più niente. Questa l’ultima lettera scritta alla moglie Nina Fawcett, datata il 29 aprile 1925:

Mia cara Nina,
Spero che questa lettera ti trovi in buona salute e di buon umore. Ti scrivo da Cuiabá, dove ci stiamo preparando a partire per la nostra spedizione nella foresta pluviale amazzonica. Sono fiducioso che troveremo Z, la leggendaria città d’oro e di ricchezze. So che ti preoccupi per me, ma ti assicuro che sto bene e sono di buon umore. Sono circondato da una squadra di uomini esperti che sono determinati quanto me a riuscire.
So che mi manchi, e anche io ti manco. Ma credo che questa spedizione sia importante, e sono impegnato a portarla a termine fino alla fine. Prometto di scriverti il più spesso possibile, e tornerò da te non appena sarò in grado.
Il tuo amorevole marito,
Percy

Nina, costante presenza e sostegno delle imprese del marito, non perse mai le speranze che lui e Jack potessero riemergere dalla foresta ma così non accadde e finché ne fu in grado, organizzò e finanziò spedizioni alla loro ricerca ma nessuna ottenne risultati tali da far luce sulla sorte degli esploratori e infine il tempo pose inesorabilmente la parola definitiva.

Le ricerche

Il mito di Fawcett e di Z e il mistero che ancora avvolge entrambi hanno alimentato decennio dopo decennio le ricerche di innumerevoli appassionati, improvvisati di ogni tipo che hanno rischiato o perduto la vita sulle tracce dell’esploratore e della sua misteriosa città. Nessuno di loro riuscì ad aggiungere un tassello utile a chiarire il mistero.

L’ultima per importanza, in ordine di tempo, è quella condotta dal giornalista del New Yorker David Grann, il cui resoconto è stato reso pubblico nel volume The Lost City of Z, del 2005, edito in italia col titolo Z. La città perduta. Volume stupendo, avvincente e ricco di approfondimenti, ripercorre in parallelo le avventure di Fawcett e quelle dell’autore nel tentativo di ricostruirne la biografia e le imprese, compreso un nuovo tentativo di ricerca sul campo. Durante l’incontro con la tribù dei Kalapalo, un indigeno gli raccontò una storia, tramandata da suo nonno, secondo la quale proprio da quello stesso villaggio si persero le tracce “degli inglesi” e tuttavia le voci che fossero stati proprio i Kalapalo a ucciderli erano menzogne infondate, anzi, loro avevano tentato di dissuadere Fawcett e i suoi dal proseguire, reputando estremamente pericolosa la direzione che stavano per intraprendere. Addirittura sulla loro partenza e scomparsa fu composta una canzone che ancora si cantava: secondo questo testo, il fumo del fuoco da campo di Fawcett e dei suoi fu avvistato al tramonto ancora per due giorni dopo la partenza, poi più niente.

vedi anche: H. P. Fawcett… la seconda parte

9 pensieri riguardo “Percy Harrison Fawcett e l’instancabile ricerca della città di “Z”, prima parte

      1. Sì, molto. Visto e rivisto. Mi sono piaciuti molto i ruoli, soprattutto della moglie di Fawcett, nonché le difficoltà di vincere lo scetticismo accademico. Ovviamente le sequenze delle esplorazioni sono stupende, non ho indagato sulla reale location ma era davvero mozzafiato.

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