La letteratura giapponese contemporanea ha assunto una fisionomia molto particolare. Molti scrittori, emergenti e già affermati, hanno affrontato con sfaccettature diverse temi tutto sommato ricorrenti e molto peculiari della cultura del Sol levante. 

Sovente è letteratura intimistica, fortemente sentimentale, tenera e malinconica, talvolta senza speranza e un’ombra pesante si getta sui protagonisti: crisi di identità, alienazione, dissociazione tra l’individuo e il soffocante contesto in cui vive; forti traumi giungono dal passato, personale o collettivo e attanagliano come una catena al ceppo i personaggi, impedendo loro di allontanarsi da tale fardello.

Talvolta, ed è il genere che più amo, il realismo della quotidianità è arricchito di una punta fantastica, creando ambientazioni e situazioni sfuggenti che consentono all’autore di approfondire l’indagine emotiva e caratteriale dei personaggi.

Tre giorni di felicità, romanzo di Sugaru Miaki, tradotto da Bruno Forzan per l’edizione Mondadori, non fa eccezione.

Questa la sua presentazione di copertina: 

Basta pochissimo tempo per dare un senso alla vita. Basta conoscere l’amore. Kusunoki impara la lezione entrando in uno strano negozio vuoto. «Benvenuto!» gli dice una ragazza con gli occhiali. Kusunoki ha bisogno di soldi e gli hanno detto che lì è possibile vendere il tempo che ti resta in cambio di una somma di denaro. Tutto considerato si può fare. Fino a quel momento la vita del ragazzo è stata piuttosto anonima, nessuna passione particolare, pochi obiettivi da raggiungere, nessuna soddisfazione. Kusunoki non ci pensa due volte e cede i trent’anni che gli restano da vivere in cambio di qualche spicciolo, tenendo per sé soltanto tre mesi, in cui Miyagi, la ragazza che gestisce il negozio, dovrà seguirlo come osservatrice speciale per assicurarsi che non faccia sciocchezze. Inizia così il conto alla rovescia, tre mesi appena, eppure sufficienti perché Kusunoki impari ad apprezzare l’importanza del tempo e l’intensità del presente, spingendosi a recuperare le occasioni mancate, gli incontri perduti per pigrizia o egoismo: la compagna di scuola che ha sempre avuto un posto speciale nel suo cuore, il ragazzo con cui l’amicizia non è mai decollata, la passione per il disegno, abbandonata per mancanza di impegno e motivazione. Tre mesi che prenderanno una piega completamente inaspettata, in cui la vita, per la prima volta, si colora. Grazie alla presenza di Miyagi, Kusunoki viene a contatto con il sentimento della gentilezza e, negli ultimi tre giorni, dell’amore. Una storia delicata e profonda, una grande lezione su cui aleggia tutta la potenza della saggezza orientale.

Cosa significa vendere il tempo? Nella cultura medievale occidentale, il prestito del denaro a interesse era condannato dalla chiesa perché speculava su un bene di cui l’uomo fruisce ma non possiede: il tempo. Il romanzo è narrato in prima persona del protagonista Kusunoki, e prende il via da un ricordo delle elementari, quando la maestra chiese agli alunni: “la vita umana viene spesso definita come insostituibile e preziosa più di ogni altra cosa, ma se doveste stabilire una cifra, quanto pensate possa valere?”

La vita di Kusunoki scorre, nel più totale grigiore fino a vent’anni, un anno fatidico perché secondo una profezia di tanto tempo prima, sarebbe dovuto accadere qualcosa di eccezionale, la svolta che avrebbe ripagato due decenni di pallore e sofferenza.

Non accade niente o meglio, niente di ciò che Kusunoki aveva previsto e spinto dalle necessità di sopravvivenza vende tutti i suoi libri e la maggior parte dei CD musicali, ovvero quanto di più caro avesse. E poi gli arriva la bizzarra quanto enigmatica proposta: recarsi in un anonimo negozio per vendere la propria vita per denaro. E Kusunoki lo fa: tutta la sua vita rimanente ad eccezione di tre mesi.

Da qui inizia la sua avventura e la parte più sostanziosa del romanzo, a partire dall’incontro con Miyagi, ovvero colei che dovrà sorvegliarlo a nome del misterioso negozio a cui ha ceduto i suoi anni.

La storia è per molti versi pallida e inconsistente, il protagonista giace sotto l’alibi di un passato perduto e un futuro irrealizzabile, confida in un cambiamento che percepisce a portata di mano ma non allunga mai il braccio per afferrarlo e alla fina rinuncerà anche a pensarci, rivolgendosi ormai tutto indietro e tutto in sé. Il conto alla rovescia scorre e niente cambia, dentro e attorno a lui. 

L’autore riesce perfettamente a trasmettere questa fiacchezza esistenziale e la plumbea prospettiva del protagonista, che rotola avanti di giorno in giorno completamente disarmato. All’inizio la stessa Miyagi ne rimane sconcertata e impotente, non che debba necessariamente interagire con il suo “osservato” ma non può fare a meno di stupirsi per la sua apatia.

Poi, a poco a poco, le cose cambieranno. Ma il mio racconto si ferma qui.

Ovviamente nel romanzo prevale l’introspezione e le sequenze narrative sono davvero poche, finalizzate alla prosecuzione della storia. Ben torniti i personaggi principali, Kusunoki e Miyagi, le cui arricchiscono, soprattutto per lei pagina dopo pagina, anche con diverse incursioni nei ricordi entrambi, che contribuiscono a chiarire il presente. Sono passi all’inizio microscopici, poi sempre più ampi, per trasformare una storia di fallimenti in un nuovo inizio.

Lo stile del romanzo è molto diretto, apparentemente semplice ma con adeguatezza di lessico (anche se la traduzione mi ha sollevato qualche perplessità) . Ogni sfumatura è valorizzata per cui, pur senza particolari ricercatezze retoriche, l’autore riesce sempre a esprimere in modo limpido e profondo concetti decisamente complessi, pur rendendoli realisticamente usciti dalla penna di uno studente qualunque (ricordo che il romanzo è scritto in prima persona). 


Il romanzo mi ha profondamente colpito, mi ha commosso, fatto arrabbiare, mi ha coinvolto tanto che sarei voluto entrare dentro la storia per intervenire. Ma a quale titolo? Proprio qui sta il sugo di tutta la storia. La vita ci oppone infiniti ostacoli e ci offre altrettante opportunità; spesso abbiamo la testa voltata da un’altra parte, indugiamo, ci lasciamo trasportare come zattere (citando le parole di Haruki, protagonista di un altro straordinario romanzo giapponese, Voglio mangiare il tuo pancreas, di Yoru Sumino) e poi il tempo a nostra disposizione improvvisamente finisce.

Il libro è un invito a custodire gelosamente il tempo che ci è concesso, ma lo fa senza polemica morale. Il bilancio di una vita sta nella sua qualità e non soltanto nella sua lunghezza.

Peccato che la mia edizione abbia una nuova copertina, immagino tratta dal manga Il prezzo di una vita. La precedente, con una clessidra nella quale scorrono petali di fiore di ciliegio giapponesi era impagabile.

Buona lettura

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