Promozione, predazione e distruzione dell’arte

La guerra non è mai stata amica dell’arte. Mai, nella Storia di tutti i tempi. L’esercito Italiano per entrare a Roma, il 20 settembre del 1870, non si fece problemi a cannoneggiare il tratto delle mura presso Porta Pia, sforacchiando anche facciata eretta da Michelangelo Buonarroti.

Roma, la breccia di Porta Pia; si notino i numerosi colpi di artiglieria andati a segno contro le mura

Nel Novecento, come tutti ahimè sappiamo, il 10 giugno del 1940 Mussolini annunciò che l’Italia era entrata in guerra. Già da tempo il duce vagheggiava sogni imperiali (e il re con lui); così sotto l’emblema del fascio littorio rinascevano i fasti di Roma antica e la stessa capitale veniva riprogettata per essere una degna erede del tempo dei cesari. In pieno centro storico si abbattevano i quartieri medievali (dov’era anche la casupola romana di Michelangelo) per tracciare dal Colosseo a Piazza Venezia via dei Fori Imperiali, grazie alla quale si potevano godere le rovine più monumentali di Roma ma in ottica moderna non senza compiere un danno irreparabile alla stratigrafia storica e archeologica.

Ancora più grandiosamente, in occasione dell’Esposizione universale prevista per il 1942, a partire dai primi anni Trenta, sotto la direzione dell’architetto Marcello Piacentini, era stata iniziata la costruzione dello spettacolare quartiere dell’EUR, capolavoro di urbanistica e architettura. Lungo il Tevere invece era già stato inaugurato nel ’32, da un’idea dell’architetto Enrico Del Debbio, il Foro Mussolini, oggi Foro Italico, vero e proprio tempio dello sport e delle gesta degli atleti italiani e soprattutto del culto del duce, come attestano il monumentale obelisco a lui dedicato, le epigrafi delle sue imprese nello scenografico viale di accesso.

Uno dei mosaici del Foro italico che inneggia alle gesta del Fascismo

Con la guerra cambiò tutto, soprattutto quando la guerra arrivò in casa nostra.

Di là dalle Alpi non era certamente andata meglio: Coventry, celebre cittadina dalla bellissima cattedrale gotica fu rasa al suolo, tanto che “coventrizzare” divenne sinonimo del latino tabula rasa, per indicare cioè la distruzione totale; Dresda, altro gioiello d’arte inestimabile, fu colpita ancora più duramente con un bilancio di perdite civili scioccante e mai del tutto definito.

Che dire? La tasso di precisione dei bombardamenti era terribilmente basso; inoltre la necessità di salvaguardare aerei ed equipaggi imponeva voli notturni, fatto che riduceva ulteriormente il successo delle missioni. In altre parole, con le tecniche di navigazione del tempo, riuscire a volare sopra l’obiettivo era già un insperato successo, colpire il bersaglio (quando c’era realmente un bersaglio, o almeno un bersaglio designato) era quasi impossibile. Solo sganciando a pioggia tonnellate di ordigni ad alto potenziale si poteva garantire un minimo di successo; motivo per cui, se l’obiettivo era un ponte, qualunque edificio nel raggio di molte centinaia di metri, o anche chilometri, sarebbe stato a rischio.

Oltre ai danni diretti subiti dal patrimonio artistico per le azioni belliche, il Führer aveva dato mandato a diversi suoi emissari di requisire opere d’arte selezionate tra le principali collezioni europee, pubbliche e private. A quanto pare, Hitler, visitando il 9 maggio del ’38 Firenze, rimase folgorato da come una città potesse essere indissolubilmente e perennemente legata all’arte e alla bellezza, perciò non volendo essere da meno dei Medici, dette incarico a Roderich Fick di costruire il Führermuseum, ovvero il museo definitivo di tutto il patrimonio culturale europeo, voluto da Hitler nella sua prediletta Linz e lo avrebbe popolato con le opere d’arte più importanti giunte dai territori occupati dalla Germania.
Oltre alla missione ufficiale, se così possiamo definirla, bisogna anche mettere in contro le opere che furono trafugate per iniziativa privata dei membri del partito. Hermann Göring, forse il più ingordo razziatore d’arte, vantava una collezione privata di 1375 dipinti, 250 sculture e molte altre centinaia di pezzi d’arte di vario genere; si parla di un valore complessivo di parecchie centinaia di milioni di marchi.

Tra i più clamorosi furti perpetrati, vi fu il completo distacco del rivestimento della “Camera d’ambra”, in origine nel castello di Federico I di Prussia di Charlottenburg e poi più volte trasferita come pregiatissimo dono da sovrano a sovrano. Fu trafugata da Pietroburgo e riportata in Germania, a Konigsberg, da dove poi se ne persero le tracce. Cinquantacinque metri quadrati di pannelli di ambra decorata svaniti nel nulla.

In Europa si era fatto il possibile per sottrarre le prede ai predatori e alle distruzioni, nascondendole, difendendo le architetture. Nella cattedrale di Reims furono innalzati grandi riempimenti di sacchi di sabbia alla base dei pilastri, nella speranza di difendere le decorazioni e attutire le vibrazioni dei bombardamenti: la cattedrale fu comunque colpita dai cannoneggiamenti poiché si riteneva che sui campanili vi stessero vedette della resistenza.

La cattedrale di Reims bersagliata dell’artiglieria

In Italia?

Nel nostro paese ci si preparò al meglio per affrontare l’uragano della guerra. Fra i tanti esempi: sulle sculture di Michelangelo, tanto a Firenze quanto a Roma, furono costruite cupole ogivali in muratura nella speranza di proteggerle dalle bombe. Davanti all’Ultima cena di Leonardo, a Milano, fu innalzato un materasso di sacchi di sabbia e così un po’ ovunque, in ogni città d’arte. La condizione di alleati preservò almeno in parte il patrimonio artistico italiano dalle razzie naziste ma la firma dell’armistizio che rovesciava le carte non bastò a distogliere i nuovi alleati dal compiere i loro bombardamenti più o meno indiscriminati. E così iniziò il caos.

Il 15 febbraio del 1944 il monastero benedettino di Cassino fu raso al suolo; per miracolo archivio e biblioteca erano stati tratti in salvo ma del luogo non rimase che polvere. A Firenze, di fronte all’avanzata sempre più decisa dei nemici, i tedeschi fecero saltare tutti i ponti della città con l’eccezione di Ponte Vecchio ma per renderlo inaccessibile furono rasi al suolo i quartieri ai due lati del ponte, ingombrando la strada con montagne di macerie.

La distruzione dell’abbazia di Montecassino, le immagini sono scioccanti

Vediamo alcune tra le più illustri vittime: il 27 luglio del 1944, durante un attacco aereo su Pisa, il Camposanto monumentale fu centrato da un ordigno incendiario; le secolari travature del grande chiostro iniziarono a bruciare come paglia e la copertura in lastre di piombo fuse, colando sugli affreschi e provocando danni devastanti. Oltre a questo, il quartiere di Kinzica, a sud dell’Arno, nel tentativo alleato di colpire lo snodo ferroviario fu bombardato e quasi completamente raso al suolo. 

Livorno, al termine della guerra, aveva subito perdite ingentissime e solo una manciata dei suoi edifici erano ancora in piedi: il duomo era quasi completamente distrutto, la Fortezza Vecchia, duramente colpita, mostra ancora oggi le ferite inferte dalle bombe.

Livorno: le macerie del duomo di San Francesco dopo i bombardamenti

E infine il famoso Cenacolo di Leonardo. Le accurate protezioni del dipinto non furono sufficienti poiché le bombe sventrarono completamente l’ala del refettorio, danneggiando gravemente la stabilità già precaria della pellicola pittorica e infine lasciando esposta alle intemperie le preziosa opera con danni irreparabili.

Ma come tenere il conto della miriade di opere d’arte in vario modo perdute, dell’edilizia storica colpita, grande o piccola? La cattedrale di Coventry non fu mai più ricostruita; significativamente, al suo interno fu innalzato un altare con una croce fatta con i resti carbonizzati della chiesa e una scritta: “Father, forgive”.

4 pensieri riguardo “Danni collaterali. L’arte in tempo di guerra

  1. La guerra è distruzione. Non solo in Italia in Europa ma guardiamo A quanto sta succedendo in tanti altri paesi del mondo opere che hanno resistito ai millenni che le bombe mandano in frantumi!
    Un blog davvero importante il tuo, complimentissimi!

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    1. È così. Naturalmente niente vale le vite perdute, ma la distruzione del patrimonio culturale significa ripudiare la cultura, le arti, la tradizione… potrei continuare. La conclusione tragica è che la guerra distrugge tutto ciò che è l’uomo e tutto ciò per cui vale la pena esserlo. Io la vedo così. Grazie per la tua visita e il tuo commento. 🙂

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