Quando è iniziata la nostra devota osservazione delle stelle? Prima dell’ultima glaciazione (esaurita fra 16.000 e 14.000 anni fa) l’uomo era nomade e seguiva percorsi stabiliti sulle tracce degli animali da preda e facendosi trovare pronto nei luoghi giusti al momento della maturazione dei frutti da raccogliere. Già allora nutriva interesse per le stelle? Se le interpretazioni di alcuni disegni all’ingresso della caverna di Lascaux (19.000-16.000 a.C.) sono corretti, parrebbe di sì, giacché essi potrebbero essere rappresentazioni di costellazioni; del resto almeno la conoscenza dei moti apparenti del Sole gli era indispensabile per seguire il corso dell’anno e delle stagioni. In realtà possiamo risalire a molte decine di millenni prima: la datazione col radiocarbonio della statuetta d’avorio del famoso Uomo-leone di Hohlenstein-Stadel, che reca incisi segni che sono stati interpretati anche come riferimenti alle costellazioni alle quali la figurina poteva essere dedicata, punta al 40.000 a.C. circa.
Forse per orientarsi nei loro spostamenti nelle battute di caccia e raccolta, agli uomini di allora sarebbero bastati rifermenti terrestri e percorsi tramandati dall’esperienza e dalla memoria collettiva del gruppo, senza il bisogno di piegare il collo all’indietro; eppure lo facevano. Perché?
Conclusa l’ultima grande glaciazione e le inondazioni che ne seguirono (che riportarono sott’acqua molte terre in precedenza emerse), l’uomo decise di abbandonare progressivamente le attività tradizionali per iniziare la pratica della coltivazione, motivo per cui divenne necessariamente stanziale e a quel punto il computo del tempo diventò essenziale per la sua nuova attività, dalla quale in misura sempre maggiore dipendeva il suo sostentamento; in questo, Sole, Luna e stelle potevano dargli una mano, bastava saper osservare, tramandare e infine riprodurre per prevedere. In Turchia, a Göbekli Tepe, gli archeologi hanno scoperto un complesso megalitico, un edificio di culto verosimilmente (databile almeno al 12.000 a.C., quindi a un’epoca appena coincidente con l’inizio della nuova vita sedentaria dell’uomo), sui pilastri del quale sono state scolpite figure che sono interpretabili come immagini di costellazioni.
Equinozi e solstizi divennero i punti di riferimento essenziali per scandire i cicli delle stagioni e dedicarsi alle semine nel momento propizio (del resto, per ovvie ragioni, i cicli della natura dovevano essere ben noti già all’uomo raccoglitore); i punti cardinali lo furono altrettanto.

Raggiungere le stelle

Se includessimo nel nostro discorso anche i pianeti, sopratutto la Luna, o Venere, il discorso si farebbe ancora più complesso, per questo motivo vorrei concentrare il tema solamente sulle stelle e la loro rappresentazione.

Forse a molti, entrando in una chiesa sarà capitato di osservare la volta dipinta come un cielo stellato; Giotto stesso la dipinse a vigilare sopra i suoi affreschi nella Cappella degli Scrovegni di Padova, così come già l’imperatrice Galla Placidia l’aveva voluta per accompagnare il suo sonno eterno, nel mausoleo ravennate dove fu sepolta. La profondità dell’azzurro dal quale emergono una moltitudine di stelle e stelline dorate dà pace, quasi sicurezza, come fosse un vero portale per ascendere fin lassù.

A dire il vero, guardando al cielo, talvolta ci si poteva accorgere che questi campi celesti erano tubati da eventi inaspettati e quando accedeva era necessario prestare la dovuta attenzione: pochi mesi prima dell’arrivo della Peste nera in Europa, una infausta eclissi lunare era apparsa in cielo, l’episodio fu rappresentato anche da Orcagna negli affreschi di Santa Croce, a Firenze, sui quali si vedono due dotti intenti a scrutare con preoccupazione questa novità. Con spirito assai diverso, tredici secoli prima tre re erano partiti dall’oriente carichi di speranza, seguendo il brillare di una nuova stella apparsa nel cielo, e il loro viaggio si compì alla porta di un ricovero per pastori, nei pressi di Betlemme.
Anche su pareti e soffitti dei monumenti dell’antico Egitto abbondarono quiete notti stellate ed è stato osservato che l’allineamento delle grandi Piramidi di Giza replica sulla terra la disposizione delle stelle della Cintura di Orione.
Di che stupirsi? I raggi del Sole, all’alba del 22 febbraio e del 22 ottobre, entrando dalla porta sulla facciata attraversano la sala del tempio rupestre di Abu Simbel per illuminare la statue sulla parete di fondo (il fenomeno era stato previsto dagli architetti due giorni prima, in occasione dell’inizio della raccolta e della fine delle piene del Nilo; il ritardo attuale è dovuto al fatto che il tempio negli anni Sessanta fu smontato e rimontato più in alto per evitare che fosse sommerso dalle acque del futuro lago artificiale di Assuan). Oppure, che dire del popolo Nazca, che nel deserto peruviano tracciò migliaia geoglifi, ovvero gigantesche figurazioni zoomorfe, antropomorfe e geometriche delle quali oggi con il volo aereo (o Google Maps) possiamo apprezzarne l’incredibile e perfetta estensione e complessità. Dopo anni di studi, la comunità scientifica concorda che fossero rappresentazioni e indicazioni di fenomeni celesti. Il più grande calendario astrale mai realizzato!

Il “Ragno” nazca, nel deserto peruviano, attorno al quale si vedono i tracciati di numerose geometrie

Probabilmente sono ancora migliaia e migliaia le grandi e piccole opere attendono di essere scoperte o semplicemente rilette alla luce delle stelle.

Allineamento megalitico di Perda Longa, in Sardegna

Ad ogni modo, agli inizi del Neolitico l’uomo cominciò a innalzare vistosi monumenti con precise valenze astronomiche. Il sorgere degli astri era il punto più facile da osservare, con le periodiche fluttuazioni nell’arco dei dodici mesi e i punti salienti furono marcati con i menhir, ovvero grandi blocchi di pietra oblunghi conficcati in verticale e spesso organizzati in allineamenti lunghi anche centinaia di metri, come a Carnac (4.000 a.C., ca), in Francia, verso il sorgere di un astro o di una costellazione in un preciso giorno dell’anno e con la stessa intenzione furono innalzati in dolmen. La Sardegna ancora oggi conserva numerosi siti archeologici con allineamenti megalitici, cromlech (circoli di pietre conficcate nel terreno), sepolture monumentali.

In questi ultimi decenni sono state compiute anche in territorio lucchese numerose e sistematiche ricerche, portando al rinvenimento di un numero impressionante di siti preistorici e protostorici, databili a partire dal neolitico fino all’età dei metalli (la frequentazione di molti dei quali è perdurata con testimonianze fino all’epoca moderna).

Sull’altipiano delle Pizzorne, pochi chilometri a nord di Lucca fu costruito un dolmen megalitico, purtroppo oggi collassato su un fianco e rotto in più parti, costruito in posizione dominante al centro di un recinto a terrapieno al culmine di un crinale naturale ma, a mio giudizio, rimodellato sull’asse Nord-Sud, o comunque sfruttato per questa fortunata coincidenza.
Un altro dolmen, spettacolare e intatto, fu innalzato sulle pendici del Monte Freddone (una cima poco nota delle Apuane e un sito ricco di testimonianze), studiato millimetricamente per celebrare il tramonto del Sole in posizione equinoziale, dietro il crinale del prospiciente Monte Altissimo.

Tra i siti più ricchi c’è il Monte Cotrozzi, una piccola vetta pochi chilometri a sud di Lucca. Lassù, anonimi scrutatori del cielo incisero nella pietra quella che a tutti gli effetti appare come una mappa stellare: un forellino per ogni stella e un lungo tracciato per collegarli in costellazioni e dare un senso al caos; su quella stessa pietra modellarono anche una fenditura naturale perché puntasse a nord. Studi e ricerche archeoastronomiche vi hanno riconosciuto almeno la rappresentazione della costellazione delle Pleiadi e di Cassiopea.

Inoltre, sulla vetta della stessa montagna fu scolpita una stele dal profilo vagamente antropomorfo (o fallico, concettualmente non cambia molto) e su di essa incisero una figurina umana maschile attorniata dalla costellazione dello Scorpione e forse una parte dell’Orsa Maggiore.

La Stele di Monte Cotrozzi

Cosa cercavano questi antichi osservatori a testa in su? Facile rispondere che erano rappresentazioni propiziatorie in funzione di culti legati alla fertilità e, intendiamoci bene, è certamente vero; ma nel modellare la pietra io vi leggo un grande sollevamento di orgoglio, la fiducia del genere umano nelle proprie capacità di discernimento; il tentativo di dominare la materia e dimostrare di poter comprendere quanto di più sfuggente ci potesse essere: le stelle. Ancora oggi che i nostri orizzonti si sono enormemente accresciuti, continuiamo assiduamente a scandagliare le profondità siderali più remote con strumentazioni sempre più sensibili, cercando fra le galassie e nel vuoto cosmico più lontano per cogliere la prima scintilla di luce. Se penso a questo, mi domando se tra la pietra scolpita di Monte Cotrozzi e il nuovissimo telescopio spaziale Webb vi sia realmente tutta questa differenza. Tecnologicamente parlando, be’… il confronto è imbarazzante, eppure l’una e l’altro esprimono lo stesso desiderio di conoscenza e di identificazione e ciò che davvero conta non è la complessità del prodotto finale ma l’idea motrice. Le conoscenze e le tecnologie messe a frutto per scavare i 42 forellini e collegarli in un disegno o per progettare e assemblare il telescopio rispondono alla stessa esigenza: guardare più lontano. 
Per questo trovo particolarmente significativo che sulla stele sommitale del Monte Cotrozzi oltre alle stelle vi sia rappresentata anche una figura umana. L’intera composizione va chiaramente letta in modo organico e in relazione logica: l’uomo e le stelle. Non è chiaro se la stele, adesso in posa orizzontale, in origine fosse conficcata nel terreno, probabilmente no, visto che le figurazioni iniziano dalla base e sarebbero finite inevitabilmente interrate; dobbiamo quindi immaginarla come l’ago di una bussola che punta a 340°.

Nel Medioevo si dette moltissima importanza alle osservazioni astronomiche. Tutte le chiese (salvo diversa eccezionale necessità pratica) erano orientate con l’abside rivolta a est, con tanta precisione che è possibile con una certa facilità riconoscere il mese della fondazione. Le finestre absidali lasciavano entrare suggestive lame di bianca luce che investivano l’altare al salire del Sole sopra l’orizzonte, oppure sulla facciata i rosoni replicavano la forma del sole e ne consentivano l’ingresso nella navata.

Spettacolo allestito nella cattedrale di San Sabino a Bari nel giorno del solstizio d’estate, quando la luce del rosone centra perfettamente il disegno a tarsie colorate sul pavimento della navata.

In Puglia, l’imperatore Federico II fece costruire attorno al 1240 una delle più sorprendenti architetture medievali: Castel del Monte. Su di esso sono stati compiuti numerosissimi studi ed è dimostrato come il complesso gioco di luci e ombre proiettate all’interno del cortile ottagonale sia un sofisticato indicatore astronomico, tanto complesso che non è mancato chi abbia avanzato l’ipotesi che l’edificio fosse addirittura una sorta di tempio esoterico.

Infine, ricordo la cosiddetta Linea Clementina, ovvero un orologio solare progettato dal matematico Francesco Bianchini e inaugurato nella chiesa di Santa Maria degli Angeli a Roma il 6 ottobre 1702. Quest’opera, che non tralascia eleganti ricercatezze artistiche, sfrutta un raggio di sole che penetra da un accurato forellino nella volta della chiesa, fornendo, oltre l’orario, tutta una serie di altre informazioni astronomiche e astrologiche.

La meridiana di Francesco Bianchini (1702), all’interno di Santa Maria degli Angeli, Roma

Meno appariscente ed elaborata di quella romana, anche nella chiesa lucchese di San Maria Forisportam c’è una meridiana solare dal funzionamento analogo che misura il mezzogiorno lucchese, 7′ e 55″ dopo quello ufficiale.

Per approfondire vi suggerisco questa interessantissima lettura: La luce del solstizio d’estate nelle chiese toscane


Leggi anche: E Dio creò il firmamento (seconda parte)


Credits
Un ringraziamento particolare a Davide Pitto e al suo sito “Luoghi da sogno” per le foto del dolmen di Monte Freddone
La foto aerea di Castel del Monte è di Michael Fritz – Opera propria, CC BY-SA 4.0,

8 pensieri riguardo “E Dio creò il firmamento, prima parte

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