Nei giorni scorsi (e chissà per quanto ancora) ho assistito su ogni genere di media allo scontro perfino fra Giornata della memoria e Giornata del ricordo, esattamente come se fosse un match da vincere; ogni squadra coi suoi tifosi.
Chiunque abbia un minimo di senno e cultura dovrebbe sapere bene che queste due tragedie, Shoah e Foibe, non possono in alcun modo essere messe a confronto, in nessuno. Ma c’è un tratto le unisce ed è quello delle vittime innocenti, quelle che l’odio e la guerra invariabilmente lasciano dietro di sé.
Dopo il negazionismo e il revisionismo, adesso si parla anche di giustificazionismo. Be’ vorrei proprio vedere in volto chi giustifica i massacri, o forse no: in effetti tremo all’idea di incontrare qualcuno così. Ma immagino ci sia. Però capisco la sostanza del discorso, certo non la giustifico ma la capisco. Capisco cioè che l’Italia non ha mai veramente fatto i conti con il proprio passato e per i più siamo stati “italiani, brava gente”. Ma non è andata proprio così.
Noi abbiamo sepolto in un armadio le nostre vergogne, abbiamo ignorato i tormenti di migliaia di vittime innocenti che invano hanno reclamato le decisioni di una tardiva giustizia. Hanno ragione coloro che affermano che dimenticare queste e quelle vittime è come ucciderle ancora, ma io aggiungo che lo è anche il trasformarle in volantini elettorali.
La giustizia, anche se tardiva, in alcuni casi è arrivata ed è sempre un valore assoluto. Di tanto in tanto però mi tornano in mente le ceneri di Treblinka, ceneri di quante: 700, 800, 900.000 vittime innocenti? Non lo sapremo mai esattamente: varcando quei cancelli segreti nel fitto del bosco, rimaneva loro una manciata di ore da vivere. Dopo il 1943, i nazisti, nel tentativo di cancellare le tracce del campo di sterminio, distrussero ogni documento e ogni edificio e sopra vi piantarono una coltivazione di lupini.
Noi cosa stiamo piantando?
Giuseppe Ungaretti, già molto tempo fa, scrisse:
Non gridate più
Cessate di uccidere i morti
non gridate più, non gridate
se li volete ancora udire,
se sperare di non perire.
Hanno l’impercettibile sussurro,
non fanno più rumore
del crescere dell’erba,
lieta dove non passa l’uomo.
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